
Napoli in tre ore. Una giornata alla scoperta di una città speciale
Metti una telefonata giunta nella tarda mattinata dall’amico: “Ciao, ho bisogno di un favore, ci sono due amici che passano per Napoli vogliono vedere qualcosa della città! Ti mando i loro recapiti…“. Non puoi rifiutare il piacere all’amico fraterno, per cui contatto le due persone che mi dicono arriveranno alle 18.00 e andranno via al massimo per le 22.00. Mi sento preso dal panico, non potevo rifiutare il piacere, ma certamente non si può ridurre una visita ad una città nata nella notte dei secoli in tre ore! Per godere al meglio di Napoli è necessario prendersi una stanza e dedicargli tutto il tempo che serve! Solo i tour operator giapponesi forse sono in grado di fare queste cose: la visita dell’Italia in quattro giorni: Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Sorrento e Capri (provare per credere).

Comunque accetto e incontro le due persone, marito e moglie con bambina al seguito di 11 mesi. Mi sono sentito perso, la mente annebbiata non riesce ad elaborare un percorso degno di essere preso in considerazione. Ascoltandoli comprendo che sono incuriositi dalla zona dei pastori del presepe che hanno visto in televisione a Natale dell’anno scorso. Gli ricordo che comunque l’apertura ufficiale vi sarà l’8 dicembre prossimo, però voglio accontentarli.
Il tour di Napoli ha inizio
Prendiamo l’auto e ci rechiamo all’altezza di via Duomo, lato mare, parcheggiamo e ci incamminiamo lungo via Duomo ed entriamo nel Duomo di Napoli, che troviamo aperto e così possono visitare la chiesa, girare lungo le navate, vedere la cripta di S. Gennaro, la cappella di S. Restituta.
All’uscita ci avviamo lungo “spaccanapoli” per giungere alla zona dei pastori. Li faccio sostare alla pizzeria dove il presidente Clinton si fermò a mangiare una pizza quando venne a Napoli per il G8, qualche anno addietro. Qui hanno assaggiato panzarotti (qualcuno li chiama crocchè di patata), zeppole, melanzane fritte, scaglie di polenta fritta. Guardavo i loro volti ed ascoltavo le loro parole, erano contenti, descrivevano i sapori sprigionati in bocca quando spezzavano la leggera crosta di frittura. Non hanno riscontrato nessun fastidioso sapore di olio residuo nelle pieghe della frittura.

Abbiamo proseguito lungo il decumano principale di Napoli: I decumani di Napoli sono tre antiche strade di Napoli create alla fine del VI secolo a.C. durante l’epoca greca costituenti il cuore del centro antico della città.
Una breve digressione sui decumani di Napoli
Le strade sono tre e scorrono parallelamente l’una dall’altra attraversando da est a ovest la città, parallelamente rispetto alla costa. Il termine decumano utilizzato in via ufficiale risulta in realtà un termine improprio in quanto esso caratterizza un sistema di urbanizzazione di epoca romana. Neapolis, invece, venne fondata come colonia greca, dunque ben prima dell’avvento dei romani.
Il sistema greco prevedeva uno schema stradale ortogonale in cui tre strade, le più larghe (circa sei metri) e grandi, parallele l’una all’altra, chiamate plateiai (singolare: plateia), attraversavano l’antico centro urbano suddividendolo in quattro parti. Inoltre, tali vie principali vengono tagliate perpendicolarmente, da nord a sud, da altre strade più piccole (larghe circa tre metri) chiamate stenopoi (singolare: stenopos) o più impropriamente “cardini”, le quali strade oggi costituiscono i vicoli del centro storico cittadino. La rete stradale dunque, risulta essere caratterizzata di fatto da strade principali (plateiai) e strade secondarie (stenopoi) che combinate tra loro, dividono lo spazio in isolati quadrangolari regolari, spesso in strigae molto allungate. Si conta che le strade secondarie di Napoli che tagliano le tre plateiai siano in numero variabile tra le diciassette e ventiquattro.
Napoli in tre ore: presepi e sfogliatelle
Siamo giunti a S. Gregorio Armeno, la strada dei pastori. Abbiamo visto gli artigiani al lavoro che realizzavano le statue di varie dimensioni, hanno scattato foto e si sono divertiti a mettersi in posa affianco agli artigiani e le loro opere. Abbiamo trovato le riproduzioni di Truman e Fidel Castro, Belen ed altri. Hanno apprezzato le riproduzioni di strumenti musicali in miniatura e dei dolci… Non finiva più la strada !
Altra tappa è stata la piazza S. Domenico Maggiore all’antica pasticceria di Scaturchio... anche qui hanno assaggiato la sfogliata riccia e frolla, altro tripudio di sapori. Gli ho raccontato la storia di questo dolce. Non ci sono molti dubbi: la sfogliatella è nata in convento e cresciuta a via Toledo, la strada del passeggio borghese nell’800. La ricetta di questo dolce creativo di città viene elaborata in Costiera Amalfitana, nello splendido convento di Santa Rosa, lungo la strada che da Amalfi si inerpica verso il cielo tra le gole e gli anfratti di Furore. Qui, come in tutta la Terra delle Sirene, è lievitata la tradizione della pasticceria in odore di santità come nel caso della melanzana con la cioccolata o degli infusi come il nocillo e il limoncello preparati dalle monache che li commercializzavano per procurarsi reddito. Già, perché al netto del tempo dedicato alla preghiera e alla contemplazione della spettacolare natura di questi luoghi, le suore di clausura curavano orto e vigna per poter essere autosufficienti e ridurre al minimo i contatti con l’esterno sempre ricco di occasioni per peccare. Narra la leggenda che in un anno imprecisato del XVII secolo la suora addetta alla cucina si accorse che era avanzata un po’ di semola cotta nel latte. Ebbe l’idea di aggiungere un po’ di frutta secca, zucchero e di limoncello sistemando la farcia tra due sfoglie ammorbidite con lo strutto, il principale grasso della Costiera sino al moderno arrivo dell’olio d’oliva, e un po’ di vino bianco dando al dolce la forma di un cappuccio di monaco.
Si dice che questo dolce delicato, religioso, non eccessivo in nulla, giocato sulla doppia consistenza della sfoglia e del ripieno sempre in equilibrio fragile fra loro, fosse immediatamente commercializzato in zona, almeno sino al 1818, quando Pasquale Pintauro, titolare di una osteria a via Toledo, di fronte a Santa Brigida, entrò in possesso della ricetta. Fu una illuminazione commerciale, l’osteria fu immediatamente convertita in pasticceria con una leggera variazione sul tema per vendere più facilmente il dolce adeguando ai gusti del tempo: tolta la protuberanza a forma di cappuccio, la sfogliatella diventa quasi una conchiglia dallo stile rococò.
Abbiamo recuperato l’auto e ci siamo recati a piazza del Plebiscito, teatro San Carlo, Galleria Umberto di Napoli, castello Maschio Angioino, riviera di Chiaia, ritorno sul lungomare. Sono rimasti ammaliati dal Castel dell’Ovo e dalla sua storia.
Napoli in tre ore: Castel dell’Ovo
Il nome “Castel dell’Ovo” deriva da un’antica leggenda secondo la quale il poeta latino Virgilio, che nel Medioevo era considerato anche un mago, nascose nelle segrete dell’edificio un uovo che mantenesse in piedi l’intera fortezza. La sua rottura avrebbe provocato non solo il crollo del castello, ma anche una serie di rovinose catastrofi alla città di Napoli.
La leggenda circolava già dal 300 d.C. : L’ uovo sarebbe stato sistemato in una caraffa di vetro piena d’acqua protetta da una gabbia di ferro. Questa fu appesa a una pesante trave di quercia sistemata in una cameretta situata nei sotterranei del castello.
Finora ancora nessuno ha trovato l’uovo…
Castel dell’Ovo è stato costruito su di un isola che si chiamava Megaride è che ora è invece collegata alla terraferma.
I coloni greci che già dal IX secolo avanti Cristo si erano stanziati ad Ischia e Cuma, nel VI secolo avanti Cristo crearono un’insediamento sull’isoletta di Megaride, dove attualmente è situato il Castel dell’Ovo, che chiamarono Partenope, dal nome della Sirena che, come narra la leggenda, si era suicidata, affranta per non essere riuscita ad ammaliare Ulisse con il suo canto.
La colonia poi, intorno al 470 avanti Cristo, si espanse sulla terraferma fin sul Monte Echia (Pizzofalcone) e prese il nome di Neapolis (città nuova) per distinguerla dal precedente insediamento Palepolis (città vecchia).
Sull’isola di Megaride morì anche l’ultimo Imperatore Romano, Romolo Augustolo nel 476 dopo Cristo. Attualmente la ex isola è parte integrante del “Borgo Marinari”, caratterizzato da ristoranti (alcuni famosi in tutto il mondo come Zi Teresa, La Bersagliera, Ciro, Il Transatlantico), bar, pubs etc … pieno di vita fino a notte fonda.
Abbiamo completato il giro con una breve sosta alla pizzeria da Michele, che forse non farà la pizza più buona di Napoli ma certamente è la più celebre. Infatti qui hanno girato un film hollywoodiano nel 2010 (Mangia, Prega e Ama) tra le sue mura, con la Roberts seduta tra i tavolini di marmo che si gustava la pizza. Il film narra di una scrittrice che trascorre quattro mesi in Italia, mangiando e godendosi la vita (Mangia). Dopo, trascorre tre mesi in India, trovando la propria spiritualità (Prega). Infine, termina il proprio viaggio a Bali, Indonesia, in cerca dell’equilibrio fra le due precedenti scoperte, trovando l’amore (Ama) in un fattore brasiliano).
Si mangia in fretta da Michele, le pizze arrivano in pochi minuti e perdere tempo a decidere cosa ordinare proprio non si può.
Recita infatti la grande insegna appesa sulla parete che appare come un monito per i sofisticati:
“A quando sta ‘o benessere la gente pensa a spennere e mo’ pure ‘o chiù povero o siente ‘e cummanà. Voglio una pizza a vongole e chiena e funghette e cozzeche, con gamberetti e ostriche d’ò mare e sta citta. Al centro poi ce voglio n’uovo fatto alla cocca e con liguore stok l’avita annaffià… Ca se rispetta a regola facenno ‘a vera pizza che è nata a Napule quasi cent’anne fa. Chesta ricetta antica si chiama Margarita ca quanno è fatta a arte po ghi nant’a nu Re. Perciò nun e cercate sti pizze complicate ci fanno male’a sacca e ‘o stomaco patì”.
Il senso generale della poesia di Esposito si può riassumere con le parole MANGIATEVI LA MARGHERITA E NON FATE TANTE STORIE.
Queste infatti le pizze proposte da Michele: la classica margherita, la marinara.
Alle 21.30 eravamo all’imbocco della Tangenziale del Corso Malta, dove ho salutato i due coniugi e la piccolina che non aveva detto una parole, troppo intenta ad osservare luci, rumori a cui non era abituata: lungo il percorso aveva gli occhi ben aperti ed incuriosita di tutto ciò che osservava.
Obbiettivo quali raggiunto: tre ore e mezza… ho sforato di poco.
TI POTREBBE INTERESSARE ANCHE:
- Un weekend a Napoli tra lavoro e vacanza
- Passeggiata nella Napoli storica, tra arte e sapori
- Ischia, un romantico weekend a Sant’Angelo
Warning: call_user_func_array() expects parameter 1 to be a valid callback, function 'FDM\Extras\wpdiscuz_found_comments_query' not found or invalid function name in /home/customer/www/genteinviaggio.it/public_html/wp-includes/class-wp-hook.php on line 312
Warning: Invalid argument supplied for foreach() in /home/customer/www/genteinviaggio.it/public_html/wp-content/plugins/wpdiscuz/class.WpdiscuzCore.php on line 996
Warning: implode(): Invalid arguments passed in /home/customer/www/genteinviaggio.it/public_html/wp-content/plugins/wpdiscuz/class.WpdiscuzCore.php on line 999
Che bella Napoli, quando si ha la possibilità di mostrarla a persone che nn la conoscono, credo sia un’esperienza che riempie il cuore. Mi ricordo quando accompagnai un’amica del nord Italia in giro, fu bellissimo e in quei momenti mi sentivo orgoglioso e fortunato di vivere tra tanta bellezza. Forse a volte la diamo quasi per scontata.