
In viaggio nel cuore delle Marche: alla scoperta dei Colli Esini (parte 2)
La perla medievale dei Colli Esini: Serra San Quirico.
Circa mezz’ora d’auto separa Fabriano da Serra San Quirico, borgo medievale ricco di luoghi d’interesse che lo rendono un’irrinunciabile meta per chi visita questi luoghi. Non a caso, nel 2016, il Touring Club Italiano ha conferito a questo piccolo centro la bandiera arancione, marchio di qualità turistico-ambientale di eccellenza.

Arroccato alle pendici del Monte Murano, l’ingresso nel centro abitato proietta addietro nei secoli. Il suo aspetto, con vetusti edifici in pietra, è reso inconfondibile dalle “copertelle” (passaggi di origine longobarda, che corrono sotto le costruzioni) che adornano questa antica roccaforte. Si consiglia, in particolare, di percorrerle di notte, allorché l’oscurità dei dintorni contrasta con le calde luminarie di questi corridoi, concepiti a scopo difensivo: un modo per rivivere i tempi oscuri dell’Età di mezzo, allorché si abitava in un borgo fortificato soprattutto per proteggersi dai pericoli rappresentati dalle non infrequenti calate di orde nemiche.

Le chiese costituiscono uno dei fiori all’occhiello di questo borgo. Si segnala, anzitutto, la seicentesca Chiesa di San Filippo Neri, splendido edificio barocco dal bianchissimo interno. Qui, sopra l’ingresso, risalta una bellissima cantoria in legno intagliato.

Prepariamoci adesso a deliziare i nostri occhi. Sì, perché Serra San Quirico ospita uno dei più mirabili capolavori del barocco italiano: la meravigliosa Chiesa di Santa Lucia.
Eretto intorno alla metà del XVII secolo sulla base di preesistenti costruzioni, l’edificio di culto fu consacrato nel 1726 e da allora ammalia gli occhi dei fedeli e dei visitatori che vi si recano. Stucchi, dorature, fregi e marmi policromi conferiscono all’unica navata un aspetto sfarzoso, adornato da opere che portano la firma, tra gli altri, di Guido Reni, Pasqualino Rossi, Giovanni Francesco Romanelli e Giuseppe Cesari, meglio noto come il Cavalier d’Arpino.

Adiacente alla Chiesa di Santa Lucia si trova l’omonimo ex monastero, oggi sede di un altro interessante museo: la Cartoteca storica delle Marche. A ricordare il rilevante ruolo che tali luoghi hanno avuto nella storia della produzione della carta, il museo ospita una serie di lavori, molti dei quali assai antichi (a partire dal XVI secolo). Tra mappe topografiche e persino giochi da tavolo (vi sono, fra gli altri, splendidi esemplari di “gioco dell’oca”), svetta un grande planisfero in carta, opera del cartografo veneziano Vincenzo Maria Coronelli.
Serra San Quirico, inoltre, conserva e valorizza un’altra storica tradizione italiana: il presepe.
Da un lato, lungo il circuito di copertelle, durante le Festività natalizie è organizzato un grazioso quanto suggestivo presepe vivente.
Inoltre, presso l’ex Chiesa di San Francesco, è ospitata la “Mostra 100 presepi”, comprensiva di ricostruzioni della Natività di Gesù provenienti da ogni parte del mondo e realizzate con ogni tipo di materiale (persino carta, conchiglie, stoffa e perline).
Tra antichità, artisti e giuristi: Sassoferrato
A circa venti minuti d’auto da Fabriano, si erge un altro borgo dalla grande storia, che tanto ha dato al mondo anche in termini di ingegno umano. È Sassoferrato, che svetta su un colle a circa 400 metri sul livello del mare, a breve distanza dal fiume Sentino.
Storicamente, le origini di tale centro vengono ricollegate all’antico abitato romano di Sentinum, i cui resti sono oggi visitabili presso il Parco archeologico che sorge pochi chilometri a sud.

Fu proprio questo luogo ad essere teatro della citata celebre battaglia del 295 a.C., nella quale Romani e Piceni sbaragliarono l’alleanza formata da Galli Senoni, Etruschi, Umbri e Sanniti.
Messa a durissima prova dalle invasioni barbariche, dal passaggio del fronte nella guerra greco-gotica nel VI secolo d.C. e da varie epidemie, Sentinum fu abbandonata in epoca altomedievale. Le genti del luogo si trasferirono nelle più sicure alture, ove, nel XII secolo, sotto la protezione del conte Atto, signore del Castello di Galla (presso la vicina Genga), fu fondato il Castrum Saxum Ferratum, da cui trasse il nome l’odierno Borgo.
Il quale, pur dall’inconfondibile aspetto medievale, gelosamente custodisce il suo passato più antico. Non a caso, nella parte più vetusta del borgo, presso il Palazzo dei Priori, è oggi allestito il Museo Archeologico Sentinate. A fianco di vestigia per lo più di epoca romana (tra cui statue, capitelli, urne, vasellame, monete e persino uno splendido pavimento a mosaico e l’imboccatura di un pozzo), è ammirabile un fedele plastico che ricostruisce la battaglia del 295 a.C.
Non solo. A fianco del Museo (e ricompresa nel medesimo complesso), sorge la Sala Perottiana, che funge da anello di congiunzione tra l’antichità e il Medioevo. È intitolata al celebre umanista (e arcivescovo) Niccolò Perotti, fanese di nascita, ma che trascorse l’ultima parte dalla propria vita proprio a Sassoferrato, a cui donò i tesori oggi ivi raccolti. Tra essi, di natura per lo più religiosa, figurano reliquiari in oro di origine bizantina (tra cui uno, celeberrimo, dedicato a San Demetrio di Tessalonica) e persino fiamminga, nonché una croce lignea e un dittico in avorio policromo.
Perotti, fra l’altro, non fu l’unico insigne personaggio a legare il proprio nome a Sassoferrato.
Già nel XIV secolo, il borgo dette i natali ad uno dei più grandi giuristi di ogni tempo (il cui nome in chi scrive – come credo in ogni persona con una cultura giuridica – evoca una forte emozione mista a profonda ammirazione).

Si tratta di Bartolo da Sassoferrato (1314-1357), nato nella vicina località di Venatura. A soli 14 anni, iniziò lo studio del diritto civile presso gli atenei di Perugia, prima, e di Bologna, poi, conseguendo a soli vent’anni la licentia docendi. Dedicatosi all’insegnamento del diritto a Pisa e a Perugia, si affermò come autore di mirabili commentari tutt’oggi indispensabili per lo studio del diritto medievale. La sua fama crebbe al punto che, nel 1355, l’imperatore Carlo IV di Lussemburgo, lo nominò proprio consiliarius.
Considerato padre del moderno diritto internazionale privato, Bartolo, tra le altre, elaborò la teoria secondo cui lo straniero era titolare di una serie di diritti ovunque si trovasse. Considerata l’epoca (il XIII secolo, quando ancora chi si recava in un Paese straniero non godeva praticamente di alcuna tutela), è evidente la rilevanza di una simile posizione nello sviluppo del contemporaneo concetto dei diritti umani. Non è un caso che, dopo la morte, Bartolo sarebbe stato definito dai posteri “lucerna iuris” e “monarcha iuris” (rispettivamente luce e sovrano del diritto).
Sassoferrato celebra tutt’oggi questo suo grandissimo genio, a cui è dedicata una piazza e di cui, presso la sala del Consiglio comunale, è custodito un busto in bronzo.
Ma vi è pure un altro illustre personaggio che nacque in questo splendido borgo marchigiano. Si tratta dell’artista Giovanni Battista Salvi, meglio noto come “il Sassoferrato” (1609-1685). Formatosi presso la bottega dal padre Tarquinio, si trasferì in seguito a Roma, divenendo uno dei più celebri e apprezzati pittori del XVII secolo.
La sua fama, sorta attorno alla sua produzione pittorica per lo più di matrice devozionale (molte opere gli furono commissionate da privati proprio al culmine dell’epoca della Controriforma cattolica), si lega agli splendidi e accesi colori, alle realistiche figure, al gioco di luci e ombre e alla minuziosa cura dei particolari presenti nei suoi lavori.
Celeberrimi perfino i disegni preparatori di molte sue opere, confluiti per varie vicende in Inghilterra, niente meno che presso la Collezione Reale del Castello di Windsor.
Al Sassoferrato, il suo borgo natio ha dedicato una mostra presso Palazzo Scalzi, La Devota Bellezza, tutt’ora aperta mentre si scrive e consigliatissima sia a chi già possiede nozioni artistiche, sia a chi intende avvicinarsi al mondo dell’arte.
Un borgo di Conti e di Papi: Genga
Piccolo ma affascinante paese della Valle Esina, Genga è un antichissimo centro dall’aspetto medievale, ma dall’origine assai remota. I Piceni, oltre agli Umbri, fondarono l’originario nucleo, poi occupato dai Galli Senoni nel IV sec. a.C.
Nonostante la sconfitta a Sentino, i Galli mantennero il controllo dell’insediamento sino al 283 a.C., quando furono scacciati dai Romani.
Il borgo è dominato dal glorioso castello che, per secoli, fu dimora della famiglia dei Conti della Genga. Tra le vetuste costruzioni in pietra intervallate da piccoli quanto caratteristici vicoli, la storica casata ne mantenne a lungo il controllo. A tale famiglia appartenne il gengarino più famoso di sempre: Papa Leone XII (1760-1829), pontefice dal 1823 alla sua morte.
Immersa in un verdissimo paesaggio, Genga, anch’essa bandiera arancione, è capoluogo di un comune straordinariamente ricco di tesori storici, artistici e naturali, che saranno illustrati nei paragrafi seguenti.

Nel profondo della terra esina: un viaggio nelle Grotte di Frasassi
È il momento di lasciare (momentaneamente) il racconto delle opere dell’uomo, per dedicarsi alle meraviglie della natura. La quale, presso i luoghi che qui si descrivono, non si è assolutamente risparmiata.
Nel cuore dei Colli Esini, infatti, dal 1997 la Regione Marche ha istituito il Parco Naturale Regionale della Gola della Rossa e di Frasassi. Un luogo incantato, ove si ammirano ameni scenari creati da imponenti cime montuose e da una verdissima vegetazione. La gola che dà il nome al Parco è stata realizzata, millennio dopo millennio, dalle acque sulfuree del fiume Sentino (corso dall’apparenza placida, ma non a caso i latini annoveravano il detto “gutta cavat lapidem”, cioè “la goccia scava la pietra”). L’area, estesa per oltre diecimila ettari, si contraddistingue per la grande biodiversità, grazie alla presenza di almeno 1250 specie vegetali e oltre 170 specie animali: tra queste ultime, l’aquila reale.
Luogo ideale per le osservazioni naturalistiche e per la fotografia paesaggistica, il Parco è una meta consigliatissima anche per gli amanti del trekking, della mountain bike, dell’arrampicata e della speleologia.

Quest’ultima attività è facilitata dal marcato fenomeno di carsismo che contraddistingue il Parco, il quale pullula di grotte.
Tra esse, le celebri Grotte di Frasassi, ricomprese nel comune di Genga, autentico capolavoro della natura (precisamente del fiume Sentino, che le ha scavate millennio dopo millennio) e senza dubbio tra le più interessanti al mondo nel proprio genere.

L’effetto che le Grotte hanno sui visitatori è difficilmente descrivibile. Incommensurabili sono sia la loro grandezza che la loro bellezza. Il magnetismo che esercitano è tale che quando se ne sta per uscire si ha quasi difficoltà a staccarsene, come se si fosse avuta, per un attimo, la possibilità di osservare una dimensione parallela dal disarmante incanto.
Site nel comune di Genga, le grotte furono scoperte il 25 settembre 1971 da membri del Gruppo Speleologico Marchigiano di Ancona, i quali avevano notato una curiosa corrente d’aria che fuoriusciva da una piccola fenditura nel Monte Valmontagnana. Da quell’apertura, poi ribattezzata “Strettoia del Tarlo”, gli speleologi scoprirono l’ingresso di un’immensa grotta buia. Tentarono la discesa, ma attorno a loro vi era l’abisso più oscuro e profondo mai immaginabile. Costretti a tornare con attrezzature adeguate, ribattezzarono l’enorme cavità “Abisso Ancona”. Da lì, scoprirono, una dopo l’altra, le meraviglie di un luogo che sembra provenire da un mondo onirico. Un dedalo di grotte, cunicoli, pozzi naturali, stalattiti e stalagmiti dai colori più vari e ove si perde totalmente la cognizione dello spazio.
Solo l’Abisso Ancona ha dimensioni tali da poter contenere l’intero Duomo di Milano! Al suo interno, tra le varie stalagmiti (conformazioni calcaree che partono dal pavimento della grotta e a ognuna delle quali corrisponde una stalattite, che invece parte dall’alto) svetta il gruppo detto “I Giganti”. Le dimensioni di queste opere della natura, malgrado l’apparenza che il visitatore può avere trovandosi in un ambiente privo di punti di riferimento, sono a dir poco ciclopiche (fino a 20 metri).
Oltre all’Abisso Ancona, le Grotte comprendono ulteriori ambienti quali la “Sala 200”, la “Sala delle Candeline”, la “Sala Infinito”, la “Sala dell’Orsa” e la “Sala Finlandia” (quest’ultima non ancora accessibile al pubblico). Ognuna di esse riceve il nome dalle precipue caratteristiche del relativo ambiente o dall’aspetto che, non di rado, negli scopritori hanno evocato le conformazioni presenti. Con risultati anche curiosi: le “candeline” sono, in realtà, piccole e bianchissime stalagmiti, mentre l’“orsa” è una roccia dalla forma che ricorda tale animale; ma vi sono pure il “cammello” e il “dromedario”, nonché le “canne d’organo”, il “castello delle streghe”, la “fetta di pancetta”, la “spada di Damocle” (una colossale stalattite di 7,40 metri), la “Madonnina” e persino “Babbo Natale”!

Nonostante la sensazione di trovarsi in un “regno minerale”, l’incredibile ambiente ospita un peculiare ecosistema, composto da una sessantina di specie viventi. Enorme è la colonia di pipistrelli (se ne stimano 12.000 esemplari), che comunque vivono negli anfratti a diretto contatto con l’esterno, ben lontani dunque dai luoghi aperti ai visitatori. È poi presente il geotritone italico, anfibio privo di polmoni, che necessita di grande umidità per vivere. Ma, soprattutto, si segnala il niphargus ictus, un minuscolo crostaceo che vive negli specchi d’acqua presenti nelle grotte: alcuni esemplari sono osservabili (aguzzando bene la vista, dato che misurano 2-3 millimetri appena) in un piccolo acquario collocato all’interno delle Grotte.

Le Grotte sono aperte al pubblico dal 1974. Attualmente è possibile visitarle, rigorosamente accompagnati da guide, secondo un percorso turistico o uno speleologico. Quest’ultimo, a propria volta, prevede la possibilità di un percorso “azzurro” e uno “rosso”, più impegnativo del primo.
Per raggiungerle, è necessario lasciare l’autovettura presso il grande parcheggio di San Vittore, ove, a fianco di chioschetti di ristorazione e souvenir, è allestita la biglietteria e da cui partono regolarmente navette che conducono all’ingresso delle Grotte.
Tra storia e natura nel Comune di Genga
Pur noto maggiormente per le Grotte di Frasassi, il Parco ha molto altro da offrire.
A fianco del sensazionale paesaggio naturale, ospita pure antiche opere umane di grande interesse.
Alcune si trovano proprio a San Vittore, a due passi dal citato parcheggio per raggiungere le Grotte. Tra esse, l’antichissima Abbazia di San Vittore alle Chiuse, architettura romanica dell’XI secolo. La sua origine risale addirittura all’anno 1007, allorché fu ivi fondato un convento benedettino. Ma solo nel 1080 ricevette l’odierno aspetto. Nel Duecento fu importantissima sede ecclesiastica, con una giurisdizione che si estendeva su 42 chiese e che conservò per due secoli, fino a quando l’abbazia fu soppressa.
L’interno, pur spoglio, crea un ambiente estremamente suggestivo, grazie all’altare in pietra e alle altissime colonne. Si segnala un curioso, quanto antico, simbolo inciso in una parete in prossimità dell’altare: una sorta di “8” verticale, forse un “infinito”, la cui origine e il cui significato sono ad oggi incerti.

A fianco dell’Abbazia, è allestito il Museo Speleopaleontologico e Archeologico, che raccoglie la storia del territorio locale.
Forse il fiore all’occhiello, già ammirabile all’inizio della visita, è un fossile di ittiosauro (un rettile marino, dall’aspetto simile al delfino, esistito tra il Triassico e il Cretaceo) vissuto in questi luoghi circa 150 milioni di anni fa, allorché l’Italia centrale era sommersa dal mare. Rinvenuto nel 1976, è stato ribattezzato “Marta”: il nome fu scelto in quanto le grandi orbite oculari e il lungo “becco” dell’animale avrebbero ricordato i tratti dell’omonima gallina fidanzata di Lupo Alberto, celebre personaggio dei fumetti.
Il Museo è particolarmente interessante. Ricca è la sezione speleopaleontologica, con fossili e minerali, molti provenienti dalle grotte carsiche della zona, incluse quelle di Frasassi. Altrettanto ricca è quella archeologica, con reperti spazianti dal Paleolitico (tra cui un preistorico cranio umano, il più antico rinvenuto nelle Marche, risalente all’incirca all’8.000 a.C.) all’epoca dei Piceni e dei Galli Senoni.
Sempre nelle vicinanze, sorge un’antica torre medievale con a fianco uno splendido ponte romano, che conduce all’altra sponda del fiume Sentino.
Da lì, risalendo la montagna, si può raggiungere la splendida frazione gengarina di Pierosara. Da tale centro medievale, costituito da casette in pietra contornate da due cinte murarie e dominato da un’erta torre di difesa, si gode un suggestivo panorama sulla Valle Esina.
Altrettanto suggestiva è la leggenda del nome del borgo, anticamente noto come Castel Petroso. L’attuale toponimo sembrerebbe formato dai nomi di “Piero” e “Sara”, protagonisti di una storia d’amore dal tragico epilogo. Sara era una ragazza del luogo, già promessa in moglie all’amato Piero. Il conte di Rovellone, invaghitosi della ragazza, s’introdusse nottetempo a Castel Petroso al fine di rapirla, scortato da alcuni cavalieri. I popolani, accortisi di quanto stava accadendo, chiusero le porte di accesso al borgo e si scagliarono contro i cavalieri. Questi ebbero la peggio, ma il conte, pur di non lasciare Sara a Piero, la uccise. Piero, accorso troppo tardi, non riuscì a salvare la vita dell’amata, venendo anch’egli assassinato dal malvagio rivale.

In prossimità dell’ingresso delle Grotte di Frasassi, invece, si erge l’opera umana più recente, ma forse più suggestiva, della zona. La via è segnata da una statua in bronzo del pontefice gengarino, papa Leone XII, a fianco della quale un sentiero s’inerpica sulla montagna, attraversando i boschi e mostrando, a mano a mano che si sale, un’amena vista sul paesaggio sottostante. Al termine, gli occhi restano folgorati da qualcosa di sbalorditivo: all’interno di una grande cavità nella roccia, sorge uno splendido edificio di culto cristiano dalla pianta ottagonale. Voluto proprio da papa Leone XII, fu eretto nel 1828 sul progetto dell’architetto Giuseppe Valadier: per tale motivo, è noto come Tempio del Valadier.
Prossimo al Tempietto è l’Eremo di Santa Maria infra Saxa, assai più antico (le prime fonti che lo citano risalgono al 1029) e a lungo utilizzato quale luogo di clausura per monache benedettine.
In effetti, quassù è forte la sensazione di trovarsi in un ambiente ideale per la preghiera, la meditazione e il benessere spirituale, ove l’unico rumore che si ode è il soffio del vento che spira attraverso la Gola della Rossa.

Un tuffo nella cucina marchigiana
Un luogo talmente ricco di storia, popolato dalla notte dei tempi da gente tanto creativa quanto laboriosa, non può non vantare una grande tradizione culinaria.
Tra i primi, risaltano le pincinelle, una pasta fatta senza uovo (tradizionalmente, si preparava con una parte di quella destinata alla produzione del pane) dalla forma simile ai pici toscani.

Ovviamente, diffusissimo è anche quello che forse è il primo piatto più celebre della cucina marchigiana: i vincisgrassi (simile alle lasagne), a base di besciamella, ragù e pollo.
Tra i secondi piatti, la zona esina annovera il coniglio in porchetta, a cui Serra San Quirico, presso la frazione di Castellaro, dedica addirittura una sagra.
Importante è la tradizione salumiera: si ricordano, da un lato, il noto salame di Fabriano, considerato tra i migliori insaccati della cucina italiana; dall’altro, il celebre ciauscolo, che dal 2009 si fregia del marchio IGP conferitogli dall’Unione Europea.

I secondi e gli affettati sono consigliati da assaggiare, ovviamente, accompagnati dalla crescia, la caratteristica focaccia marchigiana.
Tra i dolci, si ricorda anzitutto il lonzino di fico, che peraltro richiama nella forma proprio i salumi (tanto è che viene chiamato anche “salame di fico”). Ottenuto a base di un impasto a base di fichi, noci, mandorle e anice, con l’aggiunta della sapa (tradizionale sciroppo d’uva diffuso anche nelle Marche) o del mistrà (caratteristico liquore marchigiano a base di anice), è modellato sino a prendere la forma di un salame, venendo alfine avvolto in foglie.
Assai curiosi (e gustosi) sono poi i calcioni, dolcetti dalla forma di mezzaluna e realizzati con l’impiego, al tempo stesso, del formaggio (di regola, il pecorino) e dello zucchero.
Tra i vini, dominano il verdicchio di Matelica (bianco) e l’Esino (sia rosso che bianco).

Dove dormire e dove mangiare
Chi scrive consiglia le strutture ricettive visitate e di cui ha usufruito durante l’intero Educational.
Ottima sistemazione per il pernottamento è l’Hotel Janus, a due passi dal centro storico di Fabriano. Struttura dall’ampia capacità, offre un’abbondante colazione presso il relativo ristorante ed è fornita di parcheggio.
Quanti, invece, preferiscano immergersi in un ambiente extraurbano, possono scegliere il Relais Ristorante Marchese del Grillo. Posto a 5 km da Fabriano, nella località di Rocchetta Bassa, sorge in una dimora storica che fu di proprietà nientemeno che del Marchese Onofrio del Grillo, lo stesso personaggio impersonato dal grande Alberto Sordi nel famosissimo film di Mario Monicelli del 1981. All’ingresso, campeggiano infatti due ritratti: uno del popolare attore romano, l’altro del nobile che realmente esistette nel XVIII secolo (la pellicola fu poi ambientata agli inizi dell’Ottocento).

Con interni assai raffinati (tra cui lo splendido ristorante), il Relais si fregia di bellissime camere da letto, quattro delle quali sono le suite. Una, intitolata al Marchese del Grillo, era proprio quella da egli utilizzata nei suoi soggiorni marchigiani.
Per assaporare prodotti tipici marchigiani e, in generale, rilassarsi di fronte a una buona tavola si consigliano, oltre al ristorante del Relais Marchese del Grillo:
- a Fabriano, la Trattoria Marchegiana, con un delizioso ambiente caratteristico e con piatti tradizionali molto abbondanti;
- sempre a Fabriano la Griglieria dell’Allevatore, gestita dalla cooperativa SADIFA, a propria volta composta da alcuni dei produttori del locale salame di Fabriano;
- a Pierosara, il Ristorante Da Maria, che serve ottimi piatti in un ambiente accogliente e da cui si gode uno splendido panorama sulla circostante Valle Esina.
Ringraziamenti
Si ringraziano di cuore, per l’eccellente organizzazione dell’Educational Tour attraverso questo ameno territorio:
- Lorenzo Pascali e Aurelio Zenobi, dell’agenzia di promozione del territorio e di sviluppo del turismo “Hesis”, profondi conoscitori dei Colli Esini, che con grande disponibilità hanno accompagnato me e gli altri partecipanti alla scoperta di questo angolo delle Marche;
- il Consorzio Turistico Esino Frasassi e il Gruppo di Azione Locale Colli Esini San Vicino;
- l’Accademia dei Musici di Fabriano;
- le amministrazioni comunali intervenute. Dedico un ringraziamento particolare al sindaco di Sassoferrato Ugo Pesciarelli, il quale, nonostante l’ora tarda, ha avuto la cortesia di aprire la sala del Consiglio comunale per consentirmi di ammirare e fotografare il busto di Bartolo;
- l’Unione Montana dell’Esino Frasassi;
- i gestori delle strutture ricettive e di ristorazione di cui siamo stati ospiti;
- il personale dei musei visitati.
Consiglio vivamente di approfondire la conoscenza dei Colli Esini visitando questo luogo, affascinante e colmo di luoghi d’interesse e di manifestazioni in ogni periodo dell’anno.
Per leggere la prima parte dell’articolo, dedicata alla storia di questa terra e alla splendida città di Fabriano, clicca qui.
Per ulteriori informazioni, consulta il sito di #destinazionemarche
È vietata la riproduzione delle immagini realizzate all’interno dei musei e delle Grotte di Frasassi.
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