
Una giornata tra Carnaiola e Fabro, perle umbre di storia, natura e sapori
Storia, bellezze naturali e una superba cucina. In tali parole può riassumersi uno degli angoli più suggestivi dell’Umbria occidentale, quello del comune di Fabro, in provincia di Terni.
Un nome che a molti non suona nuovo, data la notevole importanza di questo centro nelle comunicazioni stradali e ferroviarie italiane. Ma quello che ad alcuni può apparire come un luogo di mero passaggio rappresenta invece una terra da esplorare, con i suoi due antichi borghi (il capoluogo comunale e l’incantevole Carnaiola) a dominare un mosaico di peculiari ambienti, fra placide colline ricoperte da foreste, agri sapientemente coltivati ed impervi quanto suggestivi calanchi.

La presenza del casello A1 di Fabro e della stazione di Fabro-Ficulle, posta lungo la linea Firenze-Roma, rende alquanto semplice giungere nel territorio fabrese. L’arrivo, presso la vivace frazione di Fabro Scalo, pone subito il visitatore di fronte a una scelta: visitare prima il capoluogo comunale e i retrostanti calanchi oppure seguire le placide rive del fiume Chiani fino a Carnaiola?
I suddetti itinerari sono entrambi meritevoli, ma chi scrive ha optato per iniziare con la seconda soluzione, procedendo da est a ovest, onde seguire, durante lo scorrere del giorno, il corso del sole e venir suggestionato dagli sfavillanti colori assunti dai due borghi e dalle loro amene campagne fra l’alba e il tramonto.
Carnaiola, l’antica roccaforte sul Muro Grosso
Parlare di Carnaiola equivale a parlare della storia della Valdichiana in sé.
Dall’alto dei suoi 350 m s.l.m., questo borgo ha osservato nei secoli il fiorire, il declino e la rinascita di una delle terre più fertili d’Italia.
Per comprendere l’essenza di Carnaiola occorre osservarla al mattino, dalla strada che proviene dalla vicina Montegabbione, ad est. Da qui, ove i declivi boscosi digradano progressivamente verso la pianura, l’antico abitato svetta in tutta la sua magnificenza, irradiato dalla luce del sole nascente, che lo staglia dal sottostante pianoro chianino e ne rimarca il ruolo di plurisecolare osservatore della sottostante valle.
Fu sul colle su cui oggi è arroccato il borgo che nell’XI secolo venne eretto un castello, poi divenuto, per merito della sua posizione strategica, rilevante roccaforte di Orvieto, all’epoca agli albori della propria potenza nel panorama politico italiano medievale.
E fu in prossimità di tale colle che venne realizzata una delle opere più rilevanti, più nel male che nel bene, nella storia della Valdichiana: il Muro Grosso, una sorta di diga costruita per sbarrare le acque del Clanis, il fiume che, in epoche antiche, rendeva la campagna chianina fertile e rigogliosa.
La tradizione colloca l’edificazione del Muro Grosso nel 65 d.C., sotto il principato di Nerone: Roma avrebbe voluto l’opera per impedire al Clanis di riversare le proprie acque nel Paglia, a propria volta affluente del Tevere, onde prevenirne le piene che non di rado inondavano la città eterna.
Storicamente, tuttavia, si ritiene più verosimile che sia stato proprio il governo orvietano, nell’anno 1055, ad erigere il Muro Grosso, di modo da creare una sorta di sbarramento d’acqua fra il suo territorio e quelli delle temute Siena e Perugia, allo scopo di impedire o comunque ostacolare eventuali azioni militari di tali potenze di fronte al progressivo espandersi dei domini di Orvieto.
Sotto quest’ultima, Carnaiola cadde nell’egida della famiglia ghibellina dei Filippeschi, in perenne lotta coi guelfi Monaldeschi per il predominio sulla città e sui relativi possedimenti. Ma, mentre i Monaldeschi si affermavano definitivamente su Orvieto, Carnaiola assisteva impotente alla formazione di una malsana palude colma di acque limacciose, che da sotto le sue mura giungeva sino alle porte di Arezzo, sopendo la fecondità di una valle che, a lungo, era stata il granaio di Roma.
Nel Seicento Carnaiola, frattanto ricompresa, come Orvieto, nello Stato della Chiesa, fu acquistata dai conti di Marsciano, che ingentilirono il borgo rendendo il castello un palazzo nobiliare.
L’avvio della bonifica della Valdichiana nel secolo successivo consentì a Carnaiola il suo riscatto. L’antica roccaforte si trasformò in una fiorente tenuta di campagna che, nel 1866, fu acquistata dalla famiglia Meoni da Buonconvento.
Tre anni dopo, Carnaiola, fino ad allora autonoma sede comunale, fu accorpata a Fabro, di cui divenne frazione e, soprattutto, uno dei gioielli del relativo territorio.

Sviluppatasi lungo il crinale del colle che domina, Carnaiola appare oggi un delizioso quanto placido centro medievale.
Gli edifici in pietra costeggiano le suggestive strade del borgo, su cui svetta la mole del palazzo nobiliare, antica dimora prima dei Filippeschi e poi dei conti di Marsciano. Nello splendido edificio, visitabile contattando gli attuali proprietari, risalta lo sfarzoso salone con pregevoli affreschi in gusto manierista.
La piazza frontistante il palazzo è fiancheggiata, sul lato meridionale, da un muro recante al centro un’apertura ad arco. Da essa si gode uno splendido affaccio sulla sottostante piana chianina: laddove si ergeva il Muro Grosso (demolito nel 1937) oggi scorre il fiume Chiani, che ripercorre la parte meridionale dell’antico Clanis. Sul lato opposto, si nota invece un’insolita struttura: una vecchia cisterna di raccolta per l’acqua piovana trasformata in torre con orologio.
Luogo d’interesse è anche la Chiesa dei Santi Salvatore e Severo, situata nella parte opposta del borgo. Eretta per volere dei Filippeschi fra il XIII e il XIV secolo, fu oggetto di rilevanti interventi architettonici fra Settecento e Ottocento, che le conferirono l’attuale aspetto neoclassico.

Al suo interno, in un’urna ottocentesca in legno dorato, riposano i resti della Beata Giovanna da Orvieto, meglio nota come la “Beata Vanna”, nata proprio a Carnaiola attorno al 1264. Dopo la morte, nel 1306, il suo corpo fu inumato presso la Chiesa di San Domenico a Orvieto, ma, in occasione del Giubileo del 2000, fu traslato nel borgo natale.
Beatificata da papa Benedetto XIV nel 1754, è venerata quale patrona delle sarte e delle ricamatrici, mestieri a lungo svolti dalla stessa Vanna durante la propria vita.
Fabro: tra arte fabbrile e sacralità

Scendendo da Carnaiola e superando Fabro Scalo, si continua a percorrere la fertile Valdichiana romana (breve precisazione: la porzione umbra di tale valle è detta “romana”, data la sua antica appartenenza allo Stato della Chiesa). Fra i campi dalle molteplici tonalità, risalta la mole di Fabro, capoluogo comunale e borgo dalla plurimillenaria storia.

La vicina Autostrada del Sole, il cui tratto locale fu inaugurato il 4 ottobre 1964, conferma il ruolo di crocevia di questa terra. Anticamente incuneata fra le lucumonie etrusche di Chiusi e di Volsinii, il territorio ove sorge oggi Fabro era attraversato, in epoca romana, dalla via Traiana Nova, realizzata agli inizi del II secolo d.C. su volere dell’imperatore Traiano, onde collegare Chiusi con Volsinii Novi, l’odierna Bolsena. Non a caso, gli agri fabresi hanno restituito, fra gli altri, reperti di età tardo-imperiale, quali tre tombe alla cappuccina (non di rado, i romani erigevano le opere sepolcrali in prossimità delle strade) e un cippo miliare attualmente conservato presso il Museo dell’Opera del Duomo di Orvieto.
Il borgo, alla sommità di un colle a 364 m s.l.m., sorse verosimilmente fra il X e il XII secolo, venendo menzionato, per la prima volta, in un documento nel 1118, con il nome di “Castrum Fabri”. Il toponimo potrebbe derivare dal nome di persona “Fabrus” (o “Fabrulus”), alquanto usuale nell’Alto Medioevo in questi luoghi. Ma, tradizionalmente, viene associato all’arte fabbrile, qui praticata da tempo immemorabile, tanto che lo stemma comunale reca un martello poggiato su un’incudine.
Come Carnaiola, la stessa Fabro fu a lungo feudo della casata ghibellina orvietana dei Filippeschi, fino alla loro definitiva sconfitta, ad opera dei rivali guelfi Monaldeschi, nel 1313. La vittoria di questi ultimi non avrebbe portato a lungo la pace tanto agognata dalle genti locali. Dopo la morte, nel 1337, di Manno Monaldeschi, signore di Orvieto, la storica famiglia si divise in quattro rami (Aquila, Cane, Cervara e Vipera), continuamente a contrasto fra loro. Fabro cadde per alcuni anni sotto il dominio dei Monaldeschi della Vipera, fino a che, nella seconda metà del XIV secolo, passò ai conti Montemarte da Corbara.
Nel 1480, tuttavia, al culmine di alcuni contrasti fra questi ultimi e lo Stato pontificio, papa Sisto IV conferì il feudo fabrese al nipote Bartolomeo della Rovere, che già nel 1481 lo cedette a Orvieto. Ma di lì a poco la contessa Manfilia Montemarte da Corbara instaurò contro Orvieto un’annosa controversia, rivendicando diritti su Fabro, nonché sulle vicine Salci e Monteleone. Il contrasto, dapprima limitato all’ambito legale, degenerò in un vero e proprio conflitto armato, anche perché il marito di Manfilia, Cesario Bandini da Castel della Pieve (l’odierna Città della Pieve), aveva nel frattempo occupato con le proprie truppe tutti i castelli rivendicati dalla consorte.
Solo nel 1497, Manfilia e Orvieto trovarono un accordo: alla prima furono assegnati Fabro e Salci, alla seconda Monteleone.
Defunta Manfilia, Fabro passò alla casata del marito, i Bandini, sotto i quali il borgo si dette il primo statuto comunale. Nel 1654, dopo un nuovo breve periodo sotto la dominazione di Orvieto, Fabro fu acquistata da Carlo Maria Lanci ed elevata a marchesato da papa Innocenzo X. Il marchesato cessò di esistere nel 1818, allorché Pio VII soppresse tutti i feudi pontifici.
Il successivo passaggio sotto il neonato Regno d’Italia costituì per Fabro l’inizio di un’epoca di grande crescita economica. Già nel 1861 fu inaugurata la ferrovia Firenze-Roma, mentre, poco più di un secolo dopo, la citata apertura del tratto dell’Autostrada del Sole consacrò la rilevanza di questa cittadina nella penisola italiana.

Borgo alquanto suggestivo, Fabro è dominata dalla mole del castello, la cui attuale struttura è frutto degli interventi architettonici operati nel Cinquecento sotto i Bandini e dal cui torrione settentrionale si apprezza un incantevole panorama sulla Valdichiana romana.
Particolarmente interessante, nel centro storico, è la Chiesa di San Martino di Tours, dalla struttura a croce latina e dall’interno pregevolmente decorato. Eretta nel XVII secolo, fu sottoposta a profondi interventi nel Novecento, che le impressero un gusto prettamente neoclassico.
Altro luogo di culto, estremamente caro agli abitanti di Fabro, si trova invece alle pendici del colle su cui sorge il borgo: è il Santuario della Madonna delle Grazie, edificato negli anni ’50 del Novecento laddove, secondo la tradizione cattolica, quattro secoli prima si sarebbe verificato un evento miracoloso.
Si narra che, nel XVI secolo, fosse qui presente una fonte, in prossimità della quale sorgeva una piccola edicola raffigurante l’immagine della Madre di Gesù. Ad una giovane fabrese, qui recatasi ad attingere acqua, sarebbe apparsa proprio Maria, che le avrebbe chiesto la costruzione di un edificio ove fosse venerata. La ragazza narrò l’accaduto ai compaesani, ma inizialmente non fu creduta. Riuscì a vincere il loro scetticismo solo allorché, su indicazione della stessa Madonna, capovolse la brocca colma d’acqua sopra la propria testa, senza che dal recipiente si versasse una sola goccia del contenuto.
Fu allora eretta la prima chiesa, poi rimpiazzata – come detto – negli anni ’50 del XX secolo dall’edificio attuale, che tutt’oggi custodisce l’immagine miracolosa. A quest’ultima, ormai oggetto di una plurisecolare venerazione, sono stati associati ulteriori eventi prodigiosi, fra cui la guarigione di due donne (una non vedente, l’altra paraplegica) nell’Ottocento.
I calanchi, l’antico fondale marino

Superando Fabro, proseguendo verso ovest, laddove il paesaggio collinare ha ormai preso il posto della piana chianina, si giunge in un luogo dall’aspetto insolito quanto ammaliante. Qui, in prossimità del confine con la Toscana, si estende un’area soggetta ad un marcato fenomeno di erosione. Sono i “calanchi” (che si protendono fino ai territori dei vicini comuni di Ficulle e di Allerona), i quali, durante il Pleistocene, costituivano il fondale del mare che ricopriva gran parte dell’odierna Italia. Particolarità del terreno è l’alta concentrazione di argilla, che impedisce la nascita di alberi ad alto fusto e rende il suolo assai soggetto all’azione dell’acqua.
Ciononostante, chi si attende un territorio brullo e pressoché privo di vita resterà sorpreso. Il colore bianco delle aree erose, infatti, è intervallato dalle verdissime macchie della vegetazione (erba, fiori e arbusti) e da coltivazioni, mentre l’area ospita un’interessante fauna, venendo a creare un peculiare ecosistema.

L’ambiente, affascinante come non mai quando la calda luce del tramonto esalta le molteplici tonalità della locale natura, è apprezzabile anche grazie alla presenza del suggestivo “Sentiero delle Crete”, un percorso sterrato di circa 13 km, che da Fabro conduce ad Allerona. Consentendo, così, di immergersi in un’altra delle bellezze di quella parte del “cuore verde d’Italia” che non finisce mai di stupire: “L’Umbria che non ti aspetti”.
Un tuffo nelle eccellenze enogastronomiche locali
Terra di grandi tradizioni agroalimentari, il comune di Fabro si caratterizza per la fertilità delle proprie campagne: olio, grano e vino sono alcuni dei prodotti cardine delle locali coltivazioni. Ad essi, nonché ai relativi derivati, sono dedicati eventi come la Sagra delle Manfrengole fatte a mano (le “manfrengole” sono un tipo di tagliatelle realizzate senza uovo), organizzata in luglio nella località di Colonnetta; oppure la Sagra dell’Uva e del Pan col Mosto, che si tiene a Carnaiola in settembre. Dal canto proprio, Fabro Scalo realizza in agosto una Festa contadina, onde mantenere vive le memorie della civiltà agreste che, col duro lavoro, rese le campagne di questa terra fra le più feconde d’Italia.
Il territorio fabrese è poi ricco di uno dei prodotti più ricercati dai cultori del gusto: il tartufo.
Oltre al più diffuso scorzone, non di rado i cercatori qui rinvengono esemplari del pregiato bianco. Motivo per il quale Fabro, in novembre, organizza la Mostra Mercato Nazionale del Tartufo, prestigiosa rassegna per scoprire le varietà, i metodi di ricerca e gli impieghi di uno dei simboli della gastronomia italiana.
La Locanda di Desideria, un’estasi di squisitezze umbre e toscane
Un luogo ove gustare, durante tutto l’anno, le prelibatezze di questo territorio è la splendida Locanda di Desideria, situata nel centro storico di Carnaiola, a ridosso dell’antico palazzo nobiliare che domina il borgo. Il suggestivo interno, realizzato in una struttura quattrocentesca contraddistinta da colonne e volte a vela, è ampio, accogliente e ben curato, così costituendo la location ideale per sperimentare una cucina che unisce alla tradizione umbra le influenze della tradizione culinaria della vicina Toscana.
Risaltano, nel menu, le pappardelle al Chianti con ragù di cinghiale, i pici all’aglione, gli gnudi di ricotta e spinaci al tartufo, i fagioli con le cotiche, la ribollita e la tagliata di manzo. A ciò si aggiungono l’ampia scelta di vini e l’eccellente servizio, che rendono la Locanda di Desideria una meta obbligata per chi intende immergersi nelle prelibatezze enogastronomiche di questa incantevole terra.
Si ringrazia per l’ospitalità in occasione del blogtour del 23-25 marzo 2018 la Locanda di Desideria.
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Buon viaggio!
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La foto di presentazione del link è inappropriata, raffigura le campagne del comune di Ficulle.. come se dovessi vendere casa e siccome quella del vicino è più appariscente, la metto in primo piano, e casa mia la metto giù in fondo piccola piccola.. togliete la foto di presentazione che non è idonea.. grazie!
la foto della vigna è di Ficulle però
Ottima descrizione dei luoghi, esaustiva e completa. Le foto sono magnifiche. Sicuramente il percorso sarà inserito nel prossimo viaggio. Grazie
Grazie mille Pellegrino,
sono lieto che tu abbia apprezzato il mio articolo e che ti abbia suscitato il desiderio di visitare questi splendidi luoghi. Non ne rimarrai deluso!
Buon viaggio!