
Monterotondo: la tradizione di Sant’Antonio Abate
“E PE’ SANT’ANTOGNITTU NOSTRU, BELLU, GAJARDU E TOSTU, EVVIVA SANT’ANTOGNO”
Era egiziano e ha vissuto 106 anni, fino al 17 gennaio 356, Antonio, il primo abate.
Da secoli Sant’Antonio è celebrato ovunque in Italia come patrono degli animali domestici, dei lavoratori della carne e di chi lavora col fuoco.
A Monterotondo, in provincia di Roma, i festeggiamenti sono particolarmente sentiti dalla popolazione, durano praticamente tutto l’anno, ma si concentrano nelle due settimane dopo l’Epifania, come recita il detto ”una settimana prima e una doppu se magna e se beve de galoppi”, mi spiega sabato 17 gennaio al pub Robert, guardandomi da sotto la visiera corta del tipico cappello da carrettiere, che indossa solo in questi giorni.
I cittadini di Monterotondo sono così devoti a Sant’Antonio che a turno tengono a casa la statua del santo per dodici mesi, in base a una lunga lista di candidati. Mi viene in mente, da Monterotondese acquisita, che potrei aggiungermi alla lista.
Quel pomeriggio, dopo 364 giorni, la statua del santo è uscita dalla casa in cui è ospite per la messa al Duomo, accompagnata dal padrone di casa, chiamato “signore” o “festarolo” e dai membri della Pia Unione di Sant’Antonio Abate.
Continuo ad ascoltare Robert e in breve divento talmente curiosa di questa festa che decido di parteciparvi il giorno dopo.
A mezzanotte, non lontano dal locale, un gruppo di ragazzi sistema le transenne lungo le vie del centro, per delimitare il percorso della Cavalcata prevista per la mattina successiva.
Domenica 18, al sorgere del sole, tre “botti” e un suono di campane annunciano l’inizio dei festeggiamenti, alle ore 7, il “signore” offre la colazione alla banda musicale e ai devoti che di buon mattino si recano a salutare il santo. Troppo presto perché io verifichi di persona. Più tardi, alle 10:00 avrò modo di vedere che sotto la casa circolano vassoi colmi di rosette imbottite con la trippa, e bicchieri di vino bianco.
Ed è troppo presto per me verificare anche l’informazione sulla prima messa domenicale, svolta al consorzio agricolo di Torre Mancina. È lì che il prete benedice gli animali più grandi, mucche, cavalli e buoi. Dopo la prima messa, il santo è portato all’ospedale e all’ospizio, per farsi baciare dai fedeli più deboli.
Altre tradizioni di Sant’Antonio
Arrivo a Monterotondo con calma, dopo la mia colazione delle 08:30.
Nonostante i divieti di sosta e di transito che si ramificano per il centro, riesco parcheggiare la vecchia Fiat Punto di fronte al Comune. Una vera fortuna. Mi avvio a piedi in cerca di segnali della festa, che non so dove trovare. Sono le 9:30 e le campane del Duomo rintoccano allegramente. Per le strade ancora poca gente. Su via Antonio Gramsci qualcuno inizia a prendere posto dietro le transenne. Qualcun altro in sella al cavallo avanza al passo.
Mi dirigo verso la casa dove c’è il santo, in via Volturno. La trovo dopo pochi minuti, le luminarie spente e il suono di una fanfara mi indicano la direzione. Intuisco da due carabinieri a cavallo davanti a un’abitazione, di essere arrivata. Siamo una trentina, quadrupedi inclusi. All’improvviso un “cavallaro” grida: “e natra vota sola sola!”. “Evviva Sant’Antogno”, rispondono automaticamente tutti gli altri in coro.
Adulti e bambini indossano lo stesso cappello che aveva ieri Robert, di velluto nero, lo stesso che riveste i tre bottoni rivestiti cuciti sul davanti, tra la visiera e l’estremità piatta della corona.
Lì incontro il signor Mario. Sorridendo mi dice di essere in lista dal 1988 e terrà Sant’Antonio nel 2016. L’idea di mettermi in lista svanisce in un baleno.
Manca poco alle 10:00 e il santo sta rientrando dalla visita agli infermi. Mi aspetto una statua come quelle che si trovano dentro le chiese, alta circa un metro, magari vestita con un saio di cotone o lana marrone e issata su una portantina. Invece no. Sant’Antonio arriva a bordo di un suv nero. Incredula, nonostante le voci acclamanti, spio dentro la macchina. Non lo vedo. Finalmente due uomini escono dalla vettura. Uno tiene il santo tra le mani, in corrispondenza del diaframma. La statua è alta appena 30 cm. e completamente d’oro. Più tardi nonno Cesare, la mia guida turistica fortuita, mi racconterà la storia di “Sant’Antogno abbate muntretunnese” secondo cui l’oro riveste una radice di fico miracolosa, a forma del santo, capitata per caso, non si sa bene quando, tra le mani di un concittadino.
Alla mano destra di Sant’Antonio sono appesi un maialino e una campanella d’oro, emblemi degli animali domestici. Qualcuno bacia la statua, mentre il “signore” la porta dentro casa.
Assisto alla preparazione dei tre cavalli che accompagneranno la statua alla seconda messa. Quello su cui salirà il padrone di casa, insieme a Sant’Antonio, ha una coperta rossa con motivi dorati. Gli altri due blu.
A un tratto si affacciano sullo spiazzo alcuni “cavallari” su cavalli bardati con coccarde dai colori sgargianti, per vedere a che punto è la preparazione; subito ritornano su via Gramsci, ad attendere il santo. Ed eccolo. Il “signore della festa” uscire di casa e salire a cavallo con al collo una fibbia a cui è appesa la statuetta di Sant’Antonio. La terna così composta parte. Al centro il “festarolo”, a destra il “signore” che ospiterà il santo da stasera per i prossimi dodici mesi, a sinistra il “signore” che l’ha ospitato l’anno precedente.
Ad attenderli, sulla via principale, ci sono la banda con la sua fanfara e decine di cavalli colorati. A turno, voci maschili urlano “e natra vota ancora”, e noi rispondiamo in coro “Evviva Sant’Antogno”.
Ci avviciniamo alla parrocchia di Santa Maria Maddalena (il Duomo). L’antistante Piazza Giovanni Paolo II diventa un arcobaleno di coccarde e nastri colorati che adornano decine di cavalli, carretti con bambini, e un carretto piccolo trainato dall’asino Serafino. Tra una chiacchiera e l’altra scopro che gruppi di ragazzi si radunano mesi e mesi prima per preparare gli addobbi dei propri cavalli, confezionando fiori di carta velina, i cui colori rimangono segreti fino al giorno della festa.
In piazza si aggira un uomo con un sacchetto blu. Si avvicina solo alle donne che riconosce tra la folla e consegna loro l’oggetto del sacchetto, che scopro senza stupore, essere la medaglia di Sant’Antonio. Non posso averne una perché non sono moglie di uno dei fantini presenti, mi spiegano.
Alle 11:30 dopo la messa celebrata al Duomo, il prete benedice in piazza gli animali più piccoli. I cani di piccola taglia sono i più numerosi e hanno sostituito negli ultimi decenni, le galline e i galli.
La cavalcata colorata di 187 cavalli rallegra la giornata uggiosa e nessuno sembra più badare al cielo minaccioso di pioggia.
Il signor Cesare e l’amico, il signor Bruno, hanno preso il via e mi raccontano la storia di Monterotondo e cinque o sei feste che si tengono durante l’anno al paese, finché la moglie di Bruno richiama il marito per andare a pranzo, sciogliendo così la nostra combriccola.
Alle 17:00 il santo è riportato in chiesa per la messa più importante, in cui avviene il rito della “consegna” dal vecchio al nuovo “signore”. Quest’ultimo porterà a casa la statuetta accompagnato da una singolare processione: la Torciata.
Arrivo al Duomo in ritardo ma soddisfatta del cappello nuovo e pregustando le “ciambelle a zampa”, grossi taralli al vino e semi di anice, a forma di zoccolo bovino. Le mangerò insieme alle coppiette (strisce di carne piccante essiccata) durante la Torciata, come da tradizione.
Entro. La chiesa è gremita di fedeli e mi è concessa solo la visuale del fondo dell’affresco del Pistrini sulla volta e qualche stucco barocco. Non mi accontento e m’infilo lungo le cappelle di sinistra.
Sopra l’altare, su una panca ecco i tre “signori”. Sant’Antonio splende davanti al suo stendardo dorato. Alla fine della celebrazione, il vescovo consegna la statuetta al presidente della Pia Unione, che a sua volta la mette nelle mani del “nuovo signore”: Antonio Spinosi, detto Tonino.
Fuori dal Duomo, un fitto tappeto di persone attenderà più di venti minuti l’uscita del Santo in braccio al “nuovo signore”. Le chiacchiere sono sovrastate dai ripetuti “e natra vota sola sola” e “Viva Sant’Antogno”. Resto bloccata dalla folla sui gradini della chiesa. Gli improvvisi fuochi d’artificio annunciano l’uscita del santo. In un baleno migliaia di teste nere si ricoprono di rosso. Anche io rivolto il mio cappello.
Centinaia di torce si accendono e la Torciata lentamente parte. Ai lati delle vie lungo le quali la processione si snoda, i torciari avanzano, tenendo le torce rivolte al centro della strada. Molti di loro portano a tracolla una piccola botticella di legno, chiamata “cupella”, al momento ancora piena di vino. Il serpentone infuocato, sin dalle prime vie, si segmenta in gruppi via via più numerosi di “torciari” che si siedono a terra in circolo festante intonando canti popolari; i loro volti illuminati dalle torce disposte disordinatamente nel cerchio, una o più cupelle rigorosamente al centro. “E che ce ne semo scordati? E natra vota ancora!” grida uno di loro. “Evviva Sant’Antogno” rispondiamo allegri. “E per Sant’Antognittu nostru, bellu, gajardu e tostu”. “Evviva Sant’Antogno”
La torciata dopo circa tre ore giunge sotto la casa del “nuovo signore” e termina in un disordine chiassoso di giovani brilli.
Qualcuno non si regge in piedi. Qualcun altro spegne a terra i mozziconi di torcia con un piede. Tre o forse quattro carabinieri sciolgono un gruppetto di ragazzini che litigano, per poi tornare subito a presidiare il cancelletto della nuova casa del Santo.
Attendiamo. Lo stare fermi e la stanchezza mi fanno sentire freddo.
Arriva Sant’Antonio. In pochi secondi via Olimpia sciaborda di berretti rossi al rumore crescente di urla incomprensibili e tamburi rullanti.
Altri fuochi d’artificio sulla testa.
Antonio è portato velocemente al di là del cancelletto e quasi di corsa scompare dentro casa.
Una cupella segue il santo da sopra le sbarre di ferro già chiuse. E ora? Mi guardo intorno, la banda fa dietro front.
Un paio di persone rivoltano il cappello dalla parte nera, io lo preferisco ancora rosso.
“’Notte Sant’Antonio, vai a riposare anche tu, ti aspetta un’altra settimana di public relations molto intensa”.