
L’ultramillenaria rocca dal passato di lacrime: Civitella in Val di Chiana
La storia d’Italia è costellata di molteplici eventi: alcuni felici, altri drammatici. E i drammi si sono sovente consumati in luoghi di per sé splendidi, ove sembra inconcepibile che l’orrore possa aver colpito.
Tra le pagine più oscure nella storia del nostro Paese c’è la Seconda Guerra Mondiale: il passaggio del fronte attraverso lo Stivale mise a ferro e fuoco ridenti borghi e rigogliose campagne, provocando ovunque lutti e lacrime. Il carattere forte degli italiani riscattò quei luoghi, ma la memoria di quei fatti è ancora – com’è giusto che sia – molto forte.
Uno di questi luoghi si trova su un colle che delimita a nord la Valdichiana, in provincia di Arezzo. Qui, tra fertili campi e prosperi declivi coperti di olivi e vigneti, sorge un antico borgo, affascinante come pochi: Civitella in Val di Chiana.
Ma i placidi vicoli medievali che si insinuano tra gli edifici di pietra portano con sé un ricordo terribile, scolpito in maniera indelebile nella memoria di chi quel giorno c’era, facendosene poi testimone verso le generazioni future: l’eccidio nazista del 29 giugno 1944.
Ecco che allora Civitella può essere la meta di un viaggio particolare. Prima, magari in compagnia di persone a noi care, se ne possono assaporare la pace dei luoghi, le bellezze artistiche e i frutti della sua rigogliosa terra.
Poi, possiamo recarci nei luoghi che furono teatro di quella spaventosa strage e calarci nel dramma dei suoi figli orrendamente straziati.
E, alla fine, effettuare un confronto, per renderci ancor più conto – se mai ce ne fosse bisogno – di ciò che una follia come la guerra può strapparci. E di quanto noi Italiani del XXI secolo, pur tra crisi economica e incertezze, siamo immensamente fortunati in confronto alle passate generazioni di connazionali o a chi tutt’oggi, in varie parti del mondo, si ritrova intrappolato in inferni di fuoco e sangue come quello che si abbatté sull’Italia poco più di settant’anni fa.
Arrivare nel territorio civitellino
Per la sua posizione, in una sorta di crocevia tra la Valdichiana e il Valdarno, Civitella è facilmente raggiungibile da gran parte delle vicine città. Poco più di un quarto d’ora da Arezzo, poco meno di un’ora da Siena. Per chi viene da più lontano, a due passi del suo territorio comunale si trova il casello autostradale di Arezzo: all’uscita non ci si reca verso il capoluogo provinciale, bensì in direzione opposta.
Per chi proviene da Arezzo o dall’autostrada, l’ingresso nel comune di Civitella ha luogo nella fertile piana chianina. D’estate, messi e frutteti ricoprono i campi che circondano le sue grosse e vivaci frazioni, qua e là inframezzati da vetuste case leopoldine finemente ristrutturate, spesso trasformate in agriturismi.
Si transiterà, così, attraverso Pieve al Toppo, Tegoleto e Badia al Pino, quest’ultima sede comunale.
Basta poi alzare lo sguardo verso nord-ovest per rendersi conto di dove ci troviamo: questo è il punto più settentrionale della Valdichiana e, proprio in quella direzione, si trovano i Colli d’Ambra, che separano la piana dal Valdarno.
Giusto su uno di questi colli, ricoperti da una lussureggiante vegetazione boschiva, svetta un’antichissima rocca circondata da un nugolo di edifici di pietra: è Civitella, il cui profilo si staglia per decine di chilometri, rendendosi visibile da tutto il resto della Valdichiana aretina.

Tra prospere campagne e buona tavola
Chi attraversa il comune di Civitella non può non notare una splendida natura brulicante di vita.
Tendenzialmente, l’area civitellina può dividersi in tre zone.
Una prima – a cui si è già accennato – pianeggiante e intensamente coltivata: a fianco delle colture cerealicole, risaltano, specie nella parte meridionale del territorio comunale, ettari di filari di meli e peschi, i quali, oltre ai gustosi frutti in estate, offrono in primavera uno spettacolo di colori, creato dai loro fiori bianchi e rosa.

Troviamo poi una seconda area collinare, contraddistinta dalla presenza di oliveti e di vigneti. Da cui, ovviamente, si ottengono eccellenti prodotti agroalimentari:
- uno è l’olio extravergine toscano “Colline di Arezzo”, fregiato del marchio d’origine IGP, contraddistinto da un colore giallo-verdognolo e da un sapore fruttato, amarognolo e, almeno all’inizio, leggermente piccante;
- un altro è niente meno che il Chianti, nella variante “Colli aretini”. Le vigne, sparse sulle colline, sono inframezzate qua e là da cantine e regalano al territorio civitellino un inconfondibile profumo di mosto durante la stagione della vendemmia;
- se poi vogliamo aggiungere un terzo prodotto, non possiamo omettere il dolcissimo miele locale (molto rinomato quello di acacia), celebrato addirittura con una fiera ad hoc che si svolge nella frazione di Pieve al Toppo la prima domenica di ottobre.
Oliveto: la piccola “Civitella in miniatura”
Un luogo da non perdere, nella fascia collinare, è il piccolo borgo di Oliveto. Un’antica cinta muraria (edificata dai fiorentini) racchiude vicoli su cui si affacciano vetuste case ottimamente conservate, nonché una splendida chiesetta del Trecento, dedicata a Sant’Andrea.

A fianco della porta rivolta a sud, poi, si trova Villa Oliveto (o Villa Mazzi), che rappresenta, per almeno due motivi, un punto di grande rilevanza per chi è interessato alla storia di Civitella. Anzitutto, la sua struttura di antica casa padronale. La Valdichiana è stata scrigno di una delle più genuine civiltà contadine d’Italia e la visita di luoghi come questo permette di comprendere appieno la struttura dei fabbricati colonici d’epoca e la relativa vita all’interno: piano superiore a scopo residenziale, piano inferiore dedicato a stalla, cantina e frantoio.
In più, durante la guerra, la villa costituì un luogo di detenzione provvisoria degli ebrei destinati allo sterminio. Per tale motivo, il Comune di Civitella (proprietario dell’edificio sin dal 1980), vi ha allestito un centro di documentazione sui campi di concentramento.

Escursioni fra boschi e fauna
Infine, la terza parte in cui può dividersi il territorio civitellino è la fascia montana. Si tratta, beninteso, di basse montagne coperte di verdeggianti foreste, ove la macchia mediterranea si confonde con quella appenninica.
Molto piacevoli (e altamente consigliate) sono le escursioni attraverso i bianchi sentieri che solcano i boschi.
Se poi si è fortunati, soprattutto verso il tramonto, è possibile imbattersi nella nutrita fauna locale. Cinghiali, daini e caprioli possono essere visti sgusciare da un momento all’altro tra le macchie boschive (motivo in più per cui è bene fare attenzione quando si è alla guida di un’auto), mentre, nelle sere d’estate, è possibile udire, specie lungo i torrenti e i molti laghetti, il gracidio di centinaia di rane.

Le montagne coprono l’intera parte settentrionale del comune di Civitella in Val di Chiana, il quale, nonostante il nome, si estende anche su un lembo di Valdarno. Superate le montagne, infatti, il declivio s’infrange, in prossimità delle frazioni di Pieve a Maiano e di Ponticino (quest’ultimo, solo in parte civitellino, è il paese natale del celebre cantante Enzo Ghinazzi, in arte Pupo), sul fiume Arno, nella splendida “Riserva naturale di Ponte a Buriano e Penna“.
Verso Civitella
Saliamo a questo punto verso il borgo che dà il nome al comune (sì, perché – come detto – la sede comunale si trova, in realtà, nella frazione di Badia al Pino ove fu trasferita nel 1917). Ci attende una via di tornanti che si inerpicano fra i boschi. Lungo la strada proveniente da Badia al Pino, sulla sinistra, si possono notare i resti di un antico acquedotto romano.

La popolazione di questi luoghi risale, in effetti, a epoche remote, anche se fu nel medioevo che il borgo raggiunse il suo massimo sviluppo. Lassù, durante gli oscuri secoli in cui la Valdichiana era una palude, ci si poteva proteggere dalla malaria, oltre a controllare agevolmente i transiti di genti e di eserciti.
E quest’ultimo dato lo si coglie tutt’oggi, appena arrivati a Civitella: il panorama che si gode sulla Valdichiana è mozzafiato e si possono scorgere, a fianco dell’Antiappennino toscano, i centri di Castiglion Fiorentino e di Cortona e tutta la vallata fino alle propaggini dell’Umbria.
L’ingresso nel borgo ne racconta la lunga storia
All’arrivo a Civitella è consigliabile posteggiare l’auto in Via Maestà Tonda e salire nel centro storico attraverso un’apposita scaletta ricavata nelle mura, che conduce in Piazza Mazzini.
Sono le possenti mura, in effetti, il primo elemento che si nota di Civitella. La sua vocazione di centro di presidio militare è eloquente e la sua storia lo conferma: già nel VII secolo, i Longobardi eressero l’imponente Rocca che tutt’oggi svetta sul borgo.
A seguire, Arezzo la assoggettò al suo dominio e, salvo un breve periodo sotto Firenze sul finire del Duecento, la controllò fino al 1384. Quell’anno Civitella cadde definitivamente sotto la città del giglio, che la difese da un pesante assedio senese nel 1554.
Al severo aspetto esterno delle mura fa da contrasto, al loro interno, un mite e delizioso borgo: case per lo più in pietra, balconi colmi di fiori, sorridenti abitanti e gatti che gironzolano per il paese non disdegnando carezze dai visitatori.

L’aspetto lieto è arricchito anche dalla presenza di una mostra permanente di opere scultoree, talune in pietra, altre in bronzo. Ce ne sono almeno una ventina, disseminate per il borgo, e rispondono a nomi di artisti di fama (solo per citarne alcuni: Arthur Koch, Enzo Pazzagli, Giancarlo Marini e Bryan Holt Moore).
Da Piazza Mazzini risaliamo uno dei vicoli che conducono in Via Martiri di Civitella. Qui si nota un elegante loggiato, sotto il quale si può accedere alla splendida Pinacoteca d’arte contemporanea, nata nel 1971 a partire da un’opera della pittrice statunitense Ellisse Pogafsky Hakrs.
Percorrendo verso sinistra Via Martiri di Civitella, invece, si arriva in Piazza don Alcide Lazzeri. Qui risalta un’antica cisterna, per secoli la principale risorsa d’acqua per gli abitanti del borgo.

Dietro, svetta l’antica Chiesa di Santa Maria, eretta poco dopo il Mille come priorato benedettino, anche se in parte ricostruita dopo le distruzioni belliche. Splendidi il portone in bronzo dell’artista fiorentino Bino Bini e, all’interno, la tavola raffigurante la Crocifissione e attribuita al pittore seicentesco Teofilo Torri.

La memoria intorno a noi: l’eccidio del 29 giugno 1944
Restiamo nella Chiesa. Per un attimo, respiriamo l’aria di spiritualità e di fede che ci circonda. Poi usciamo all’esterno e apprezziamo la quiete di Civitella tra la sua piazza principale e i suoi vicoli.
Ai nostri occhi, questo borgo appare un luogo immacolato. Eppure, proprio qui, il 29 giugno del 1944, si compì uno degli atti più efferati che la storia italiana ricordi. E che è bene raccontare, tornando indietro di settantatré anni.

Erano gli ultimi giorni della primavera del 1944 e il Paese era sconvolto dalla Seconda Guerra Mondiale.
Mentre gli Alleati avanzavano dal Mezzogiorno, i tedeschi si erano stanziati nei principali luoghi strategici del centro Italia, incluso il comune civitellino.
L’occupazione nazista era qui messa a dura prova dalla Resistenza partigiana. Nelle montagne attorno al borgo, operava la Brigata “Renzino”, così chiamata in riferimento al nome di battaglia del loro comandante, al secolo Edoardo Succhielli.
Nel pomeriggio del 18 giugno, presso il dopolavoro di Civitella, quattro giovani soldati tedeschi entrarono per bere un bicchiere di vino, prima di ricongiungersi con la propria compagnia, stanziata presso una fattoria nella località di Dorna, a pochi chilometri dal borgo. Poco dopo entrarono alcuni partigiani che, scorti i militari, intimarono loro di consegnargli le armi. Uno di questi, forse ubriaco, reagì e i partigiani si videro costretti a sparare: tre soldati tedeschi rimasero uccisi, mentre il quarto riuscì a fuggire.
Gran parte degli abitanti, terrorizzati dalle conseguenze che si sarebbero potute ripercuotere su di loro, si dettero alla fuga.
Il parroco del paese, don Alcide Lazzeri, si offrì (ed ottenne) di officiare i funerali dei tre soldati uccisi, anche al fine di dimostrare ai tedeschi la buona volontà dei civitellini e la loro estraneità alla sparatoria.
Il gesto parve determinante. Al termine delle esequie, celebrate il 20 giugno, una ventina di civili furono rastrellati e condotti a ridosso di un muro, pronti ad essere mitragliati. Ma, proprio in extremis, il comandante delle forze tedesche annullò l’esecuzione.
Di conseguenza, dopo qualche giorno, i civitellini tornarono alle proprie case, convinti di essere scampati alla reazione degli occupanti.
Si giunse al 29 giugno, giorno dei Santi Pietro e Paolo: il paese era in festa e molti dei suoi abitanti si trovavano a Messa nella Chiesa di Santa Maria, ignari del tremendo pericolo che incombeva su di loro. Nella notte, un’ingente guarnigione tedesca si era spostata da Monte San Savino nelle vicinanze di Civitella: era formata da giovanissimi soldati della famigerata Divisione corazzata “Hermann Göring”, già resasi responsabile di feroci stragi soprattutto in Campania e in altre località della Toscana. Guidati dal capitano Heinz Barz (che, di lì a poco, avrebbe comandato un altro eccidio nella vicina Cavriglia), i tedeschi irruppero nel borgo e in altre limitrofe località.
Con l’ordine di uccidere tutti gli uomini di età superiore a 15 anni, le forze naziste compirono un’autentica strage, che in realtà non risparmiò neppure donne e bambini.
Mentre i carnefici iniziavano il massacro di casa in casa, don Alcide ordinò di chiudere il portone della Chiesa, al fine di proteggere i parrocchiani all’interno. Fu inutile: i tedeschi fecero saltare il portone con una granata e iniziarono a trascinare fuori i civili a gruppi di cinque, per trucidarli a colpi di pistola alla testa. Venne ucciso lo stesso parroco, che aveva disperatamente tentato di salvare i fedeli offrendosi di morire al posto loro.
Dopo il massacro, i tedeschi dettero alle fiamme gran parte delle case di Civitella, onde provocare la morte anche di quanti avessero cercato la salvezza nascondendosi entro le mura domestiche.

Alla fine, si contarono 244 vittime: 115 nella sola Civitella, 58 nelle prospicenti località del suo comune (soprattutto Cornia, Gebbia, Solaia e Ponte della Palazzina) e 71 nel vicino centro di San Pancrazio (nel comune di Bucine).
A destra della Chiesa, si trova oggi un monumento dedicato alle vittime dell’eccidio: a fianco di un bassorilievo in bronzo, realizzato da Mario Moschi, campeggiano i versi del poeta antifascista Franco Antonicelli. Eccone un eloquente estratto:
“…il giorno che si apriva bellissimo
diventò nebbia fumo fuoco sangue
fragore di mitraglia grida di uccisi
essere uomini significò morire
e gli uccisori non erano uomini ma fiere impazzite…”
Pochi giorni dopo i tedeschi se ne andarono e il paese fu preso dai partigiani e dagli alleati. Ai loro occhi si presentò una scena degna di un infernale girone dantesco: ovunque cadaveri straziati, cenere e macerie.
Con fatica, Civitella riuscì a riprendersi da quella catastrofe. Ma l’episodio provocò un annoso contrasto tra alcuni civitellini e i partigiani, dai primi accusati di essere i veri responsabili della strage, in quanto l’azione presso il Dopolavoro avrebbe generato l’attendibile (sia pur spropositata) reazione tedesca. Contrasto a cui il celebre gruppo musicale aretino “Casa del Vento” ha dedicato la toccante canzone “Renzino“, pubblicata con l’album “Sessant’anni di Resistenza” (2004).
Proseguendo sulla destra, in un luogo ove si apre una vista panoramica verso la retrostante Val d’Ambra, si trova un altro monumento in bronzo, opera di Bino Bini: un ragazzino vestito da chierichetto, con lo sguardo terrorizzato, che si dà alla fuga. Raffigura il giovane seminarista Daniele Tiezzi, che in quel terribile mattino serviva Messa a fianco di don Alcide: trascinato fuori dalla Chiesa per essere ucciso, riuscì a fuggire e, pur raggiunto da alcuni colpi di arma da fuoco, fu in grado di saltare dalle mura (alte in quel punto 7 metri), salvandosi miracolosamente.
Rientriamo quindi in via Martiri di Civitella e, stavolta, percorriamola sotto i graziosi portici che ne coprono tutto il lato destro. Circa a metà, si trova la Sala della Memoria, allestita dal Comitato dei parenti delle vittime dell’eccidio.

La Sala è un luogo imperdibile. Sulle pareti campeggiano decine di foto scattate prima e dopo la strage, mentre all’interno di teche di vetro, fra i ritratti degli uccisi, si trovano oggetti recuperati dai cadaveri o dalle case dopo la liberazione del paese.
Le foto raffigurano volti sorridenti di uomini, donne e bambini. Persone unite da legami familiari o di amicizia, molto attaccate al loro splendido borgo e alle sue tradizioni. Eppur falciate, come fili d’erba, dalla follia della guerra.
Colpiscono gli oggetti della vita di tutti i giorni. Tra essi, uno splendido libro per bambini scritto da Giovanni Cau e illustrato dalla moglie Elga Elmqvist, entrambi uccisi nella strage.

È arduo non commuoversi.
Su una parete, campeggia un documento ufficiale del Ministero dell’Interno, datato 5 febbraio 1963: è l’atto di conferimento della medaglia d’oro al valor civile alla città di Civitella in Val di Chiana. Essa, come si legge nelle motivazioni:
“Sopportava con stoico coraggio la rappresaglia crudele del nemico invasore, subendo la quasi totale distruzione delle abitazioni ed il sacrificio di centocinquanta dei suoi figli, mai piegando nella fede in un’Italia migliore”
Il 7 ottobre 2004, la Sala della Memoria fu visitata dall’allora Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi. Dieci anni dopo, Civitella commemorò il settantenario dell’eccidio, alla presenza dei ministri degli esteri italiano e tedesco Federica Mogherini e Frank-Walter Steinmeier.
La Sala della Memoria è aperta il sabato e la domenica (ma sono prenotabili visite negli altri giorni) e l’ingresso è gratuito.

Un segno tangibile della guerra: la Rocca longobarda
Usciti dalla Sala della Memoria continuiamo a percorrere Via Martiri di Civitella. In fondo, entriamo nel perimetro di bianche mura interne che conducono alla Rocca longobarda.
Qui si noterà subito (se non lo si è già fatto) un aspetto: la struttura appare diroccata, o meglio sventrata. La base è integra, ma i muri della parte sovrastante sono in gran parte distrutti. Le cause di ciò non sono il tempo o l’incuria, bensì le bombe sganciate da aerei alleati nella primavera del 1944, dopo che i tedeschi avevano occupato il borgo.

La Rocca, simbolo di Civitella (nel cui emblema compare intatta, come in effetti fu fino al 1944), pur messa in sicurezza, non è mai stata ricostruita, quasi a fungere da monito contro gli orrori della guerra, similmente alla Gedächtniskirche di Berlino.
Oggi i resti della Rocca restano circondati da un verdeggiante prato fiorito, ove non è raro veder passeggiare visitatori o abitanti locali, mentre sulle mura svolazzano decine di piccioni.

Tutt’intorno un paese che ha saputo riscattarsi e tornare più affascinante che mai.
Ma che ha ancora nel proprio cuore il ricordo di quei funesti eventi. Per continuare a gridare al mondo la frase che conclude la citata poesia di Antonicelli, nel monumento dell’eccidio:
“…non sia dimenticato il delitto
che strazia anche l’inerme
sia fuggita la colpa
che macchia l’innocente
delitto e colpa che sono l’ingiusto guadagno e l’intolleranza
padre e madre della guerra”.
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