Museo Archeologico Chianciano

Scoprire gli Etruschi al Museo Archeologico di Chianciano Terme

Vi sono luoghi che legano indissolubilmente la propria identità alle antiche civiltà di cui furono la culla. È il caso della Penisola italiana centro-occidentale, fra Toscana, Umbria e Lazio.

Tale area, già nota come Etruria, molti secoli prima dell’avvento del potere di Roma assistette allo sviluppò uno dei più affascinanti e misteriosi popoli che la storia ricordi: gli Etruschi.

Nel proprio apogeo, fra l’VIII e il V secolo a.C., il loro dominio si spinse fino all’Emilia-Romagna, la Lombardia, il Veneto, la Corsica e la Campania, divenendo la fucina di una delle tessere destinate a comporre quello straordinario mosaico di culture che è l’Italia.

E né la progressiva romanizzazione degli Etruschi circa quattro secoli dopo, né i due millenni decorsi fino ad oggi hanno sopito lo splendore delle loro vestigia, accrescendo l’incanto dei territori da essi un tempo popolati.

È il caso della Val di Chiana, fra le odierne Toscana e Umbria. Qui, forte della presenza di ben tre lucumonie (città-stato) appartenute alla storica Dodecapoli (Arezzo, Cortona e Chiusi), il popolo etrusco proliferò. E testimonianze della sua plurisecolare presenza sono visibili pressoché ovunque. Uno dei luoghi di maggiore interesse è, in tal senso, Chianciano Terme, in provincia di Siena.

Nel celebre centro termale toscano, dal 1985 opera l’Associazione Geo-Archeologica, che nel 1997 ha creato lo splendido Museo Civico Archeologico delle Acque.

La scelta non è stata casuale. Il territorio di Chianciano, popolato almeno dal Neolitico, fu una delle aree di maggiore insediamento da parte degli Etruschi, stante la vicinanza con la potente Chiusi. Peraltro, la fertilità delle campagne, la mitezza del clima e la rinomanza delle salubri acque locali mantennero l’importanza di Chianciano anche in età romana, per poi proseguire sino ai nostri giorni.

Il Museo, che sorge lungo viale Dante, a ridosso del centro storico di Chianciano, è organizzato secondo un percorso che, grazie a centinaia di reperti, ad esaurienti didascalie, nonché a filmati e a contenuti multimediali, permette al visitatore di scoprire le molteplici sfaccettature della civiltà etrusca.

artigianato etrusco
Opere d’artigianato etrusco

 Il mistero delle origini

L’aura di mistero che alimenta il fascino della civiltà etrusca (per approfondire) ne avvolge, anzitutto, le origini. Su di esse, sin dall’antichità, sono state avanzate plurime teorie. L’unicità della relativa cultura spinse, nel V sec. a.C., Erodoto (loro coevo) a ritenere che essi fossero approdati in Italia a seguito di una migrazione dall’area ellenica, precisamente dalla Lidia, in Asia Minore. Dionigi di Alicarnasso, nel I sec. a.C., insisteva, invece, per la loro origine tutta italica.

Le più accreditate teorie storiche odierne propendono per una soluzione intermedia: gli Etruschi sarebbero, infatti, il prodotto fra l’antichissima civiltà villanoviana (sviluppatasi in Italia centrale fra il X e l’VIII secolo a.C. e così definita in riferimento alla località di Villanova, in provincia di Bologna, sede di una delle principali necropoli della medesima) e le decisive influenze che essa subì negli scambi commerciali con altri popoli del Mediterraneo.

Il collegamento fra Etruschi e Villanoviani appare confermato dall’incinerazione dei defunti, pratica a cui – come si dirà – i primi, al pari dei secondi, avrebbero fatto a lungo ricorso.

museo chianciano
Un defunto con la divinità dell’oltretomba Vanth, scolpiti sul coperchio di un’urna cineraria

La matrice ellenica, tuttavia, emerge dalla peculiare scrittura etrusca, il cui alfabeto è molto simile a quello greco (in particolare, a quello anticamente utilizzato nell’Isola di Lemno, nel mar Egeo settentrionale).

Un’enigmatica scrittura

Migliaia sono, invero, le iscrizioni etrusche (da leggere da destra a sinistra) giunte sino a noi. Ben poche, tuttavia, sono di facile interpretazione.

Se, infatti, la leggibilità di tale idioma non costituisce un problema, comprenderne il significato rappresenta una sfida per archeologi e linguisti, essendo andata perduta praticamente l’intera letteratura etrusca. Eccettuate alcune opere a contenuto religioso (il Liber Linteus della Mummia di Zagabria, la Tegola di Capua e le Lamine d’oro di Pyrgi) e giuridico (la Tabula Cortonensis e il Cippo di Perugia), le iscrizioni etrusche di cui si dispone sono quasi esclusivamente di tipo sepolcrale. Per comparazione, è come se fra duemila anni gli archeologi dell’epoca tentassero di interpretare l’attuale lingua italiana basandosi solo sulle lapidi cimiteriali!

Esempio di scrittura etrusca (particolare della riproduzione del Cippo di Perugia)

Al piano interrato del Museo Archeologico di Chianciano, è presente proprio una sala dedicata alla scrittura etrusca: qui, a fianco di riproduzioni di celebri reperti (quali i citati Tabula Cortonensis e Cippo di Perugia), sono ammirabili ulteriori iscrizioni rinvenute nei locali scavi archeologici.

Al visitatore, non necessariamente con conoscenze di greco antico, verrà immediatamente spontaneo tentare di ricondurre i segni a fonemi a lui familiari. Ma, a meno di essere esperti etruscologi, sarà impossibile interpretare anche una sola parola. Eppure, il sogno di comprendere il significato di quella scrittura tanto antica, consci del grande mistero sotteso alla civiltà che ne fu autrice, consente di avvicinarsi alla visita del museo con la passione e il desiderio di scoperta tipico degli archeologi e degli storici.

La centralità della religione

Uno dei tratti di maggiore interesse della cultura dei “Rasenna” (o “Rasna”, come si autodefinivano gli Etruschi; quest’ultimo termine, invece, è tipicamente romano, derivando dal latino “Etrusci”) è, senza dubbio, la religione, che nella loro vita assumeva una rilevanza di primissimo piano.

Ad una serie di divinità (molte delle quali corrispondenti a dèi greci e, successivamente, romani) faceva capo la triade composta dal re degli dèi Tinia (omologo dello Zeus greco e del Giove romano), dalla sposa Uni (Era o Giunone) e dalla figlia Menrva (Atena o Minerva). Essi avrebbero rivelato la propria volontà per mezzo di eventi naturali, ai quali, dunque, gli Etruschi non associavano una causa scientifica, bensì sacra.

L’interpretazione dei segni celesti fece, persino, nascere tre peculiari tecniche divinatorie:

  • l’aruspicina, la quale operava mediante la dissezione e l’esame delle viscere degli animali sacrificati;
  • l’arte fulgurale, consistente nello studio dei fulmini (lanciati, secondo la religione etrusca, da Tinia);
  • l’arte augurale, che agiva mediante l’osservazione del volo degli uccelli.

Se, pertanto, i sacerdoti assurgevano a figure centrali nella società etrusca, i templi erano luoghi di fondamentale importanza. Nell’area di Chianciano ve ne erano almeno due: il tempio dei Fucoli e quello di Sillene, ambedue situati presso note sorgenti d’acqua termale. Di entrambi, il Museo Archeologico ospita le vestigia al primo piano.

Tempio dei Fucoli
Testa di Ercole del Tempio dei Fucoli

Del tempio dei Fucoli, colpiscono, in particolare, i resti di uno splendido frontone in terracotta e delle colonne in pietra fetida (roccia calcarea, tipica di quest’area, così chiamata per lo sgradevole odore di zolfo che emana estraendola dalla cava o lavorandola) che lo sorreggevano. L’opera, risalente al II sec. a.C., si fregia di splendidi elementi decorativi, per lo più figure umane o divine, fra cui Thesan (la dea dell’aurora) e una divinità barbata identificata come Ercole con indosso la leontè (la pelle del Leone di Nemea da egli ucciso nella prima “fatica”).

Del tempio di Sillene, la cui esistenza appare documentata già agli inizi del V sec. a.C., fra gli altri reperti svetta un formidabile giogo da traino in bronzo del IV-III sec. a.C. (appartenente ad una più ampia opera, consistente in una divinità raffigurata su un carro), decorato con una testa di grifo.

Tempio di Sillene
Il giogo con il grifo del Tempio di Sillene

 Il culto dei morti

Forte, presso gli Etruschi, era anche il culto dei defunti. Secondo la relativa religione, l’oltretomba era retto dal dio Aita (Ade o Plutone), re degli inferi, e dalla moglie Phersipnei (Proserpina o Persefone). Ad accompagnare le anime nella vita ultraterrena erano i demoni Charun (psicopompo analogo al romano Caronte, pur non concepito dagli Etruschi come traghettatore dei morti) e Vanth, divinità femminile alata, sovente raffigurata nell’atto di dispiegare un rotolo di lino, su cui illustrava al defunto il suo destino. Moltissime sono le informazioni sulle modalità di sepoltura etrusche, grazie all’abbondante numero di necropoli ad oggi scoperte.

Frequente fu il ricorso alla cremazione, elemento di congiunzione – come detto – della cultura etrusca con quella villanoviana. Nella prima fase (VIII-VI sec. a.C.), le ceneri dei defunti venivano per lo più collocate entro i cosiddetti canopi, vasi con copertura a forma di testa umana, a propria volta posti in tombe a pozzetto. Non di rado, i canopi erano sistemati in un dolio (una sorta di barile o ziro, da cui il nome di tomba a ziro), contenente anche il corredo funebre del defunto.

Canopi etruschi
Canopi etruschi

Esempi di tale modalità di sepoltura sono stati rinvenuti presso la ricca necropoli di Tolle, poco distante da Chianciano, i cui reperti sono ammirabili presso il piano sotterraneo del Museo Archeologico. Oltre alla splendida lavorazione delle coperture dei canopi, colpiscono gli oggetti che costituiscono i corredi funerari: vasellame (in buona parte in bucchero, la nera e lucida ceramica tipica degli etruschi), utensili da filatura, fibbie, bracciali e collane consentono di ricostruire la vita quotidiana degli Etruschi.

Tra il vasellame, rilevano esemplari di kilyx e skyphos (coppe da bevande), kyathos (attingitoi), oinochoe (vasi per versare bevande), askos (recipiente per oli combustibili o per unguenti) e olla (recipiente per cibi o bevande), assai diffusi anche nella civiltà greca, a conferma dei profondi rapporti commerciali che legavano quest’ultima ai Tirrenoi (come i greci chiamavano gli Etruschi).

In realtà, già verso la fine del VII sec. a.C. iniziarono ad affermarsi, almeno presso le classi più abbienti, le tombe a camera, destinate ad ospitare più defunti (di solito, appartenuti alla medesima famiglia). Non di rado, sepolcri di questo tipo venivano edificati al di sotto di un tumulo di terra, ove una o più camere ospitavano le spoglie inumate in sepolcri a cassa o in urne cinerarie, talora inserite entro nicchie realizzate lungo le pareti. Questo tipo di sepoltura, nell’area chiancianese, è osservabile presso le necropoli dei Morelli e della Pedata.

La prima, a cui è dedicata la sezione al piano ingresso del Museo Archeologico, si caratterizza per l’esistenza, fra gli altri siti sepolcrali, di un tumulo “principesco” risalente al VI sec. a.C. Copiosa è la quantità di reperti, fra anfore e altro vasellame, nonché oggetti metallici tra cui uno scudo. Particolare è la presenza, fra le ossa incinerate del defunto del tumulo principesco, di resti di animali (almeno tre: un bovino, un ovino e un suino), verosimilmente anch’essi gettati nella pira funebre, secondo una tradizione riservata ai grandi eroi dell’antichità.

Particolare è anche la presenza di resti di cibo nei vari recipienti, nonché di tavoli (da pasto e da gioco), alari e candelabri, al fine di rendere il sepolcro una vera e propria dimora per la vita ultraterrena. Alla necropoli della Pedata è dedicata, invece, una sezione al piano interrato del Museo. La relativa collezione spicca per la presenza dei calchi di due opere (gli originali si trovano esposti presso il Museo Archeologico di Firenze) risalenti al V sec. a.C.: una è la celebre Mater Matuta, raffigurante una madre con in braccio un bambino; l’altra è un sarcofago sulla cui copertura sono scolpiti il defunto e la citata divinità femminile Vanth.

vaso etrusco
L’Isola dei Beati nel vaso cinerario di Tolle

Al medesimo piano, sono ospitate due splendide collezioni donate da privati: la Collezione Grossi e la Collezione Terrosi. Alla prima, appartiene una delle opere più interessanti dell’intero Museo: un grande vaso cinerario in terracotta (rinvenuto a Tolle e risalente al VII sec. a.C.) raffigurante il complesso viaggio verso l’oltretomba da parte di un defunto. Quest’ultimo, in basso, è raffigurato come nell’atto di scalare la parete del vaso, sul cui orlo lo attendono delle figure mostruose. Il coperchio, tuttavia, reca una visione più celestiale: alcuni animali e le anime degli antenati attendono il defunto nell’Isola dei Beati (l’omologo etrusco dei Campi Elisi greco-romani), meta del suo viaggio, mentre un uccello gli indica la strada da seguire.

La donna etrusca

Come detto più volte, ragguardevole fu l’influenza che il mondo greco esercitò sugli Etruschi. Nessun effetto, tuttavia, esso produsse su uno degli elementi che maggiormente caratterizzavano la loro cultura: la condizione della donna.

Al ruolo subalterno e di pressoché totale sottomissione al marito sia in Grecia che nella stessa Roma, la donna etrusca contrapponeva un trattamento non molto dissimile, almeno per i tempi, da quello dei maschi: dalla presenza in svariati momenti della vita sociale al diritto di partecipare ai banchetti, dalla capacità di possedere un proprio patrimonio a quella di gestire attività commerciali; per di più, mentre gran parte dei popoli antichi era solita ricorrere, nell’onomastica, al solo patronimico, gli Etruschi spesso aggiungevano anche il nome materno.

oreficeria etrusca
Opere di oreficeria etrusca

Certo, anche il ruolo delle donne d’Etruria finiva per incentrarsi su quello di moglie, madre e gestrice della casa. Ma la condizione femminile presso gli Etruschi, specie considerata l’epoca della loro esistenza, rende questo antico popolo assai più moderno di altri coevi e, soprattutto, posteriori.

Il Museo Archeologico di Chianciano ha dedicato alle donne etrusche una sezione, anch’essa collocata nel piano sotterraneo. Ne emerge, anzitutto, la dedizione alla cura dell’aspetto fisico, con una grande collezione di alabastron (unguentari), spille (fra cui una, splendida, in avorio, risalente al VII secolo a.C.), specchi in bronzo e capolavori di oreficeria, quali armille (bracciali), anelli e orecchini.

La principale attività lavorativa delle donne, a fianco di quella inerente la cura della casa e dei figli, era sicuramente la tessitura, come testimoniato dagli svariati esemplari di rocchetti e fuseruole rinvenute presso i sepolcri femminili.

A pranzo con gli Etruschi

Gli innumerevoli utensili, finalizzati alla produzione agricola o alla preparazione o al consumo delle pietanze e delle bevande, unitamente alle diverse raffigurazioni di banchetti rinvenute nei sepolcri consentono di ricostruire le abitudini alimentari degli Etruschi (approfondisci). La grande fertilità dell’Etruria e le indubbie conoscenze agronomiche dei suoi abitanti permettevano loro grandi rese di cereali e ortaggi, che rendevano l’alimentazione etrusca prevalentemente vegetariana. Non mancava, per la verità, l’allevamento del bestiame: tuttavia, il consumo della carne, dato il relativo prezzo, era per lo più appannaggio delle classi benestanti, mentre la gente comune riusciva a procurarsela soprattutto in occasione di sacrifici di animali.

Eccellente era anche la produzione vinicola, che al tempo aveva luogo sfruttando un albero di appoggio per la pianta della vite. Né mancava la coltivazione dell’olivo: oltre che per scopi alimentari, l’olio veniva utilizzato come combustibile per le lucerne e i lampadari. Un luogo assai rilevante al fine di ricostruire l’attività agricola etrusca è la fattoria di Poggio Bacherina, i cui reperti sono esposti al primo piano del Museo. Resti di utensili quali anfore, brocche, olle da fuoco, ciotole, piatti, un telaio, vasche per la pigiatura dell’uva e doli (recipienti per i cibi, alcuni dei quali contenenti semi d’uva) testimoniano il funzionamento di questa fiorente azienda di età tardo-etrusca, verosimilmente distrutta da un incendio (come confermato da numerosi reperti del tutto o in parte carbonizzati) avvenuto fra la seconda metà del II e la prima metà del I sec. a.C.

Coinvolgente ed emozionante è, al secondo piano, la ricostruzione di un banchetto etrusco, presso la dimora di tale Aranth. Dell’ambiente, le cui pareti recano la raffigurazione di scene conviviali, colpisce la differenza dall’odierna concezione dei pasti: non vi è una tavola circondata da sedie, bensì tavolini affiancati da letti (detti “klinai”) ove si mangiava sdraiati. Fra le vivande, rilevano focacce, salumi, pesce, formaggi, ortaggi e frutta.

Al medesimo piano, una serie di vetrine ospitano, fra gli altri, ulteriori reperti ad uso alimentare: tirabraci, un foculo, spiedi, persino una grattugia, nonché coppe, vari recipienti e servizi da vino. Un’urna in pietra fetida, inoltre, reca la raffigurazione di un banchetto: oltre al simposiarca (il sacerdote che, non di rado, compiva un sacrificio prima del pasto, quale omaggio agli dèi), sono raffigurati un suonatore di doppio flauto, un servo e due commensali (un uomo e una donna).

banchetto etrusco
Ricostruzione del banchetto etrusco

Le terme romane

Pur terra etrusca per definizione, l’area chiancianese conobbe inevitabilmente la dominazione romana. Il Museo Archeologico, pertanto, non poteva non esporre alcuni dei reperti ricollegabili all’Urbe ivi rinvenuti: frammenti di vasellame, statue o elementi architettonici, nonché monete, chiodi e utensili vari sono esposti al secondo piano dell’edificio. Gran parte dei resti provengono dal locale sito archeologico di Mezzomiglio. In questo luogo i Romani, grandi costruttori di terme e acquedotti, realizzarono, fra gli altri, un complesso per giovarsi dei benefici delle locali acque, già noti nell’antichità.

I bagni nelle imponenti vasche qui realizzate, al pari del consumo delle acque, venivano prescritti dai medici del tempo, esattamente come accade oggigiorno, per la cura di una serie di patologie dell’apparato digerente, respiratorio e urinario. Fra i più celebri utenti delle antiche terme romane di Mezzomiglio vi fu niente meno che il poeta Orazio, qui giunto su consiglio di Antonio Musa, medico personale dell’imperatore Augusto.

Si ringrazia per la visita e le esaurienti spiegazioni del relativo personale, in occasione del discovering tour del 20-22 aprile 2018, il Museo Archeologico di Chianciano Terme, nonché, per l’autorizzazione alla pubblicazione delle immagini dei reperti, Paolo Dell’Agnello.
Si consiglia di seguire la pagina Facebook “L’Umbria che non ti aspetti” e il sito web dell’Associazione “Città della Pieve Promotion” www.cittadellapieveumbriaitaly.itnonché di iscriversi ai gruppi Facebook “L’Umbria che non ti aspetti”, “Città della Pieve and Friends“ e “Val di Chiana incantata“.

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Paolo Menchetti

Paolo Menchetti

Nato ad Arezzo nel 1982, una laurea in giurisprudenza e un titolo di avvocato appeso al chiodo. Un grande amore per la fotografia, i viaggi e la scrittura. Tre passioni che ho unito nel lavoro che ho scelto di fare: il fotoreporter. Il mio obiettivo: far vivere le esperienze che ho vissuto in un luogo ai lettori, nella speranza di stimolarne il desiderio di scoprirlo a propria volta.

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