
Il Carnevale di Sciacca in due e mezzo
Era marzo ed ero al terzo mese di gravidanza.
Per essere la prima gravidanza, mio marito più che ansioso era preso da una strana smania di avventura per cui non era strano trovarmi arrampicata su una roccia o a fare windsurf tra le onde ghiacciate… Dopo nove anni di fidanzamento in cui avremmo potuto vedere il mondo (ma c’era una certa pigrizia di fondo) si era deciso a portarmi al carnevale di Sciacca, il più importante della nostra bella Sicilia.
Una festa che ti fa tornare bambina
Si dice che le sue radici risalgano addiritttura ai tempi dell’antica Roma, ma la prima documentazione di festa in maschera si ha del 1616. All’inizio era una festa di paese dove tutti si riversavano travestiti per strada e si consumava il tipico cibo dell’isola, soprattutto cannoli di ricotta, in seguito si introdussero i famosi carri allegorici. Esistono vere e proprie compagnie che lavorano ai carri già molti mesi prima del carnevale, che sono sempre più articolati nelle figure e nei movimenti e che mi hanno trasformato in una bimba di pochi anni!
Arrivati a Sciacca di domenica non è stato semplicissimo trovare parcheggio, ma siamo comunque riusciti nell’impresa ed abbiamo comprato stelle filanti, cerchietti colorati e coriandoli; siamo andati a visitare il centro del paese addobbato a festa e ci siamo divertiti ad osservare la fantasia della moltitudine di gente che indossava maschere di ogni tipo.
I carri vengono posizionati in ordine di sfilata, il primo a partire è il personaggio di Peppe Nappa, che nei giorni del carnevale diventa simbolicamente il sindaco della città, dal suo carro vengono distribuite salsicce arrostite, aranciata e caramelle.
L’atmosfera quando inizia la sfilata è quella che forse dovrebbe essere la normalità ogni giorno della nostra vita, si diventa tutti amici, tutti uniti, tutti accomunati da un legame speciale! Si ride, si balla con sconosciuti, si mangia insieme, ci si aiuta, si fanno scherzi e si ricevono, si canta e si cammina tanto.
I miei piedi si gonfiavano nella stessa misura in cui il mio cuore si riempiva di una gioia mai provata, non avevo mai visto niente di simile, i colori, la musica, i sorrisi, i bambini profumati di zucchero e le persone più anziane intente ad osservare benevoli chiunque, non c’era colore di pelle, non c’erano diverse provenienze, c’era un unico linguaggio, un unico sguardo, un momentaneo sindaco beffardo, che però ci stava regalando la sua più grande serietà, aprire la sfilata dei sogni.
Non c’erano solo gli occhi dei bambini stupiti col volto allinsù, eravamo tutti incantati e desiderosi di caramelle e avari di colori sgargianti. Ho camminato un numero di ore paragonabile al percorso del “Cammino di Santiago di Compostela” o forse così l’ho percepito con il dolce peso dentro il mio pancione. Abbiamo giocato alle giostre sparando con un fucile, ho battuto mio marito che deluso continuava a dire che il giostraio mi aveva fatta vincere in qualche modo, abbiamo affondato le mani dentro sacchetti di caramelle ed abbiamo nutrito la carie, regalandole anche nuvole di zucchero filato e gelati.
Il nostro viaggio si è concluso quel giorno stesso per motivi di lavoro, ma la festa finisce il martedì dopo quattro giorni di festeggiamenti e dove credo sia concesso di tutto (o quasi). A simboleggiare la fine del Carnevale viene dato al rogo Peppe Nappa, in attesa che l’anno dopo torni a regalare ancora una volta l’uguaglianza dei colori e dei profumi di una splendida terra che nonostante tutto accoglie e sempre accoglierà chiunque.

