Sapa, trekking alla ricerca della semplicità

Per un caso fortuito e fortunato, l’ultima pagina del mio diario di viaggio in Vietnam coincide con una citazione dello scrittore Pino Cacucci, che recita:

Le radici sono importanti nella vita di un uomo, ma noi uomini abbiamo le gambe, non le radici, e le gambe sono fatte per andare altrove”.

Mai coincidenza fu più perfetta, non solo perché è una citazione che arriva a sigillare un viaggio la cui bellezza vera e profonda continua a farsi sentire a più di due mesi dal ritorno, ma anche perché in questo diario composto da pagine bianche intervallate da citazioni a tema, la benedizione delle gambe arriva per sporcare appena la pagina accanto ai miei ultimi appunti sui due giorni di trekking a Sapa.

Gambe per andare è tutto quello che ti chiede Sapa, una piccola cittadina nell’estremo nord del Vietnam, a due passi dalla grande Cina. Incastonata tra le montagne di Hoàng Liên Son, colorate da una natura rigogliosa e al tempo stesso offuscate dall’umidità che si innalza per diventare nebbia fitta. Occhi aperti per osservare e cuore grande con cui fotografare immagini di luoghi e persone, che con ogni probabilità scorreranno nei ricordi per sempre.

Frequentata soprattutto dagli appassionati di escursioni, Sa Pa – come lo scrivono i vietnamiti – è una stazione di partenza più che di arrivo, perché da qui, muniti di uno zainetto che ti impone di rivedere il tuo concetto di essenziale e abbigliamento comodo, si parte a piedi alla scoperta di panorami unici e popolazioni nuove.

Nell’itinerario che abbiamo seguito noi, partendo dalla Cambogia e iniziando ad esplorare il Vietnam da Sud verso Nord, a Sapa ci siamo arrivati prendendo un autobus da Hanoi, frenetica capitale dove motorini e mercati la fanno da padrone per le strade. Dopo circa sei ore di comodo viaggio a bordo di un “sleeping bus”, quindi, il passaggio da Hanoi a Sapa sebbene sia stato lento, è netto. Non brusco, ma sorprendente grazie a un perfetto scenario di città che lascia il posto a nuovi ritmi, abiti finora solo immaginati, dialoghi incomprensibili nella loro apparente semplicità, colori stesi e abbinati abilmente dalle matite dell’artista che è evidentemente il più bravo della classe.

Seguendo i consigli di altri viaggiatori incontrati nelle precedenti tappe del nostro tour per il Vietnam, per il trekking di Sapa, che già si preannunciava valere tutto il viaggio, abbiamo scelto di affidarci alle Sapa sisters, un’impresa sociale interamente gestita da donne hmong, una delle etnie che popolano i villaggi che è possibile esplorare durante il trekking. La loro organizzazione e i loro servizi sono impeccabili: dall’arrivo con la possibilità di usufruire della doccia, ma soprattutto di lasciare presso la loro sede eventuali bagagli e altre borse non necessarie per il cammino, fino alla scelta del trekking più adatto alle proprie esigenze.

Si può scegliere tra percorsi facili, medi o difficili: la vista di bei paesaggi è garantita in ogni caso, ma chiaramente se la difficoltà aumenta, aumenta anche la ricompensa. Una variabile che vale la pena tenere in considerazione è il clima: se piove, infatti, bisogna mettere in conto fango e quindi strade scivolose da affrontare con maggiore cautela e probabilmente a un ritmo più lento. Tutto sta al proprio livello di allenamento, al tempo che si ha disposizione e a quanto si vuole spostare l’asticella dei propri limiti. Senza giocare a fare gli eroi!

Reduci da febbre e antibiotici, noi abbiamo scelto il percorso di media difficoltà e, insieme a Pen, la nostra guida locale, abbiamo intrapreso la strada delle risaie.

Pen ha un viso gentile, lunghi capelli castani, lisci e tenuti appena su da una coda disordinata. Indossa gli abiti tipici del suo villaggio, con una rivisitazione sportiva: calzoncini neri corti fino al ginocchio, che non rimane comunque scoperto, perché dalla caviglia si alza una sorta di scalda polpacci, fermato proprio a metà gamba da un dettaglio colorato; alla felpa tipicamente nera, Pen ne ha preferita una celestina, cappello lilla per ripararsi dal sole e, insieme allo zaino, una borsetta a tracolla quadrata, decorata seguendo le stesse forme e rifinita con pon pon di tessuto viola agli angoli.

Io e Pen

Partiamo in tre, ma in pochi minuti siamo in cinque. Lungo le strade che percorrono i turisti, infatti, stazionano le numerose donne che dai villaggi si recano in città per vendere i loro prodotti artigianali al mercato: sciarpe, borsette, portafogli, copricuscini e altri accessori realizzati in maniera naturale a partire dai tessuti. Mentre camminiamo, la stessa Pen intreccia sulle sue mani fili di erba essiccata che, opportunamente colorati, diventeranno l’ingrediente base per realizzare non solo l’abbigliamento per la gente del posto, ma anche quei pezzi che i passanti come noi decideranno di riportare a casa come souvenir.  

Dialogare con le amiche che abbiamo incontrato per strada è pressoché impossibile, a causa di un inglese molto povero, che non va oltre le domande di rito per conoscersi, ma con Pen è diverso. Da quando a Sapa sono arrivati i turisti, parlando con loro, ha imparato in pochi anni un inglese impeccabile – almeno a giudizio di un’italiana che lo mastica. Non lo sa leggere, ma lo parla senza alcuna esitazione e così ci racconta il suo Vietnam, quello che inizia e finisce tra le cime più alte delle montagne di Sapa. Un Vietnam in cui le donne lavorano, mentre gli uomini rimangono a casa a prendersi cura dell’orto e del bestiame, un Vietnam dove il “love marriage”, come lo chiama per distinguerlo dal matrimonio organizzato dai propri genitori, è una novità degli ultimi dieci anni più o meno. I suoi figli fanno parte, quindi, della prima generazione che ha la possibilità di scegliere se sposarsi e con chi sposarsi.

Tra le chiacchiere di Pen e le nostre domande curiose, ci scorre davanti un paesaggio davanti al quale gli occhi fanno il pieno di bellezza: sono le risaie a terrazza. Alti gradini ricavati dal paziente lavoro di uomini e buoi per coltivare il riso, l’ingrediente simbolo della cucina vietnamita. Sono immagini che voglio guardare a fondo per imprimerle nei mie ricordi e rievocarle durante l’inverno, quando la nostalgia e i malumori della vita quotidiana proveranno a prendere il sopravvento. C’è bellezza, infatti, non solo nei colori che si impongono alla vista: il clima è bello, il cielo azzurro e i palloni bianchi sono nuvole amiche. Sotto il cielo, è estate piena, come suggerisce l’alternarsi di giallo e verde tra le piantine di riso. Ma la bellezza è anche in quell’infinità di chicchi, pochi su ogni pianta, milioni tutto intorno: è una bellezza che parla di fatica paziente, di saper aspettare, di dedicarsi molto anche se fosse per ricevere poco, se però è quel poco che nel tuo mondo è tutto. Semplice e prezioso nutrimento. Davanti a tanta bellezza quasi invidio Pen, che per cena dovrà andare a casa dei suoi genitori per festeggiare il primo raccolto del riso dell’anno, che servirà per affrontare l’inverno.

Di villaggio in villaggio, il paesaggio cambia e a sera, verso l’ora del tramonto, diventa un po’ più frenetico, perché la gente si affretta a rientrare a casa prima che faccia troppo buio. Da quelle parti, infatti, alcuni tratti di strada non sono percorribili in motorino e l’unico mezzo per spostarsi sono, quindi, le proprie gambe, che devono farsi forza per non arrendersi in salita dopo una lunga e faticosa giornata. Anche gli animali rincasano, talvolta guidati da giovani pastori di circa sei anni, che scompaiono insieme alla luce del giorno.

È tardi anche per noi e mentre arriviamo presso l’abitazione dove trascorreremo la notte, la Farnesina ci avverte di una tempesta in arrivo. E in effetti abbiamo giusto il tempo di sentire svanire la fatica sulle gambe, mangiare una cena tipica con gli altri ospiti – piccola menzione speciale per la signora di Hong Kong che, in pochi minuti, mi ha insegnato ad usare BENE le bacchette – fare una doccia calda, mentre la temperatura inizia ad abbassarsi e, dopo aver fatto l’incontro di alcuni scarafaggi accanto al letto adagiato sul pavimento, sentire i primi forti tuoni e quindi letteralmente apriti cielo!

È una delle rare occasioni in cui ci si sente costretti a letto e si attende l’alba con trepidazione. E quando finalmente arriva, porta con sé un altro paesaggio: il cielo azzurro del primo giorno ha lasciato spazio a una nebbia bassa, che ci regala un paesaggio silenzioso e bianco più che grigio. Si potrebbe pensare “che sfortuna”, e invece no, è una mattina magica. Una mattina fatta per sfoderare le nostre giacche antipioggia e per imparare le tecniche di Pen, che ci nasconde gli zaini sotto enormi bustoni neri, che guai a dimenticarsi dentro un fazzoletto!

Seguendo un itinerario meno faticoso del giorno precedente, ci imbattiamo nelle cascate che, sotto la pioggia battente, sono ancora più affascinanti. È acqua che si mischia ad altra acqua e il rumore della pioggia diventa silenzio perché viene coperto dal frastuono della più rumorosa caduta. Lungo il percorso, i villaggi si svegliano e si rimettono all’opera, nonostante la pioggia. I bambini, sotto grandi ombrelloni, si recano a piedi a scuola. I motorini rallentano per non bagnare i pedoni, che sono in realtà ormai fradici.

Semplicità è la parola chiave di Sapa. Semplicità delle persone, dei paesaggi, del cibo. Prima di rientrare, infatti, ci fermiamo per goderci un pranzo caldo in un posto che, come spesso accade in Vietnam sembra casa di qualcuno. Il menù prevede giusto un paio di piatti tra cui non può mancare il Pho, una zuppa di carne e spaghetti di riso, che mia mamma non ha mai fatto né farà mai, ma a me ha fatto sentire a casa. Bene come si sta a casa.  

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Dove dormire a Sapa
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Claudia Cannatà

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