
Nelle viscere della terra, alla scoperta della miniera di Rosas
Finalmente la primavera è iniziata. Le giornate si allungano, il sole scalda e si sta bene all’aria aperta. Approfittando così della bella giornata e appassionati di storia e cultura della Sardegna, visitiamo la Miniera di Rosas che si trova vicino al paese di Narcao, nella provincia di Carbonia-Iglesias, nel basso Sulcis.
Le visite, tutte guidate, si svolgono su prenotazione con i seguenti orari: la mattina alle ore 11, nel pomeriggio alle 15 e alle 17. I gruppi sono composti da circa 20 persone. Tempo atmosferico permettendo vi è anche un trenino che vi porta all’ingresso della miniera vera e propria. Avendo prenotato per la mattina, alle ore 8 ci mettiamo in macchina. La strada per raggiungere la miniera non è lunga, ma nell’ultimo tratto di strada, circa 15-20 km, si trovano parecchie curve.
Dopo due orette di viaggio, arriviamo al villaggio minerario, in una specie di vallata. L’aria che si respira è quella di pace, tranquillità e sembra di essere fuori dal mondo. Gli unici rumori che si sentono sono quelli creati dai motori delle autovetture che arrivano e si parcheggiano in una piazzola dedicata. Si è circondati da alberi, piante, mentre di fronte si trova la laviera (dove venivano lavorati i minerali estratti come pirite, argento e piombo). Il tutto è curatissimo e ben tenuto. Sotto la laviera, si trova la reception dove due gentilissime ragazze dopo aver acquistato i biglietti ci forniscono del materiale informativo sul sito e la sua storia.
La visita guidata e la partenza con il trenino sono alle ore 11, quindi abbiamo ancora un pochino di tempo per curiosare. Attaccate alle pareti troviamo delle bellissime vecchie foto sia del sito, del complesso che delle persone dell’epoca: minatori, donne e bambini. All’interno della reception vi è anche una piccola libreria dove sono esposti dei volumi e dei libri consultabili. Tutti legati alla storia della Sardegna e della sua gente.
Nel sito minerario si trova anche un bar, e un ristorante (l’ex ufficio postale). Ma la cosa che mi ha colpito di più, in senso positivo, è il fatto che lungo il percorso si trovano le vecchie casette de minatori che oggi possono essere prese in affitto dai turisti o dalle persone che vi desiderano dormire una notte. Il costo per persona a notte è di 22 euro in bassa stagione, mentre è di 25 euro in alta stagione. La guida ci spiega che all’interno sono arredate come all’epoca: il pavimento costituito da piccoli mattoncini, in porcellana gli interruttori della luce. Dev’essere una bellissima esperienza, certamente unica nel suo genere. La prova è una coppia che ha soggiornato proprio la notte prima della nostra visita e né è rimasta colpita.
Va notato che all’epoca, quando il sito era in funzione, le famiglie sposate con figli abitavano a valle, a differenza dei single che abitavano più su, sulla montagna in delle specie di casermoni. Accanto alle case per i single si trova anche la scuola elementare. All’epoca, la miniera, garantiva ai bimbi l’istruzione sino alla terza elementare, poi gli stessi iniziavano a lavorare presso la miniera. Le casette dove oggi è possibile dormire sono quelle che si trovano a valle.
Puntualissimo arriva il trenino ed i bimbi nel nostro gruppo iniziano a sgambettare per salirci. Una volta a bordo, iniziamo la strada che ci porterà all’ingresso della miniera. Bellissimo il panorama che si gode all’arrivo, si domina tutta la vallata. Alla sinistra dell’ingresso della miniera (chiamata Miniera di Santa Barbara, santa protettrice dei minatori), chiusa con un portone, si trova una piccola casetta in legno dove sono custoditi i caschetti e le torce per entrare. Dotati di copricapo, ci sediamo sul muretto che delimita l’ingresso. Qui la guida, che coinvolge anche i bimbi (di circa 6 anni), spiega la nascita della miniera e la sua storia.
Tappe e nomi storici
– Tutto partì da Enzo Perpignano. Originario di Iglesias , capì sin da subito il potenziale del sito. Nel 1832, scrisse al Re (ricordiamoci che all’epoca la Sardegna faceva parte del regno Sardo-Piemontese) per poter avere dei finanziamenti per sfruttare il sito. La risposta arrivò solo nel 1851;
– Elena Felicita Poinsel: signora di origini francesi, si cimentò nell’attività mineraria, ottenendo nel 1863 la concessione della Miniera di Rosas;
– Leone Gouin: dirigente della miniera, che al tempo era di proprietà francese (società Roux di Marsiglia);
– Giorgio Asproni: famoso ingegnere minerario, dal 1865 al 1875 fu direttore della Miniera di Montevecchio, diventando sotto la sua guida la più importante miniera della Sardegna. Nel 1887, acquisì la Miniera di Rosas e ne divenne direttore nel 1897. Da ricordare che fu anche fra i soci fondatori dell’Associazione Mineraria Sarda.
– Luigi Merello, Giacomo Boero ed Eugenio Cao: furono soci assieme a Giorgio Asproni nella concessione della Miniera di Rosas. Tutti e tre erano già attivi nel tessuto industriale commerciale della città di Cagliari;
– Umberto Cappa: direttore della Miniera di Rosas dal 1898 al 1908, ed ingegnere civile per il comune di Narcao;
– Luigi Frongia: direttore della miniera dal 1912.
Aperto il pesante cancello, dobbiamo curvarci, per poter camminare. Il soffitto è basso e gli unici che non devono abbassarsi sono i bambini. Vi è un lungo e stretto corridoio, e sul terreno vi sono i binari dove una volta correvano i vagoni carichi di materiale. Ogni tanto, alzando lo sguardo, si vedono dei fori sulla roccia utilizzati per estrarre il materiale che poi veniva analizzato per vedere se conteneva materiali preziosi. In caso positivo si procedeva al carotaggio. Inoltre, la guida ci spiega che il luccichio sulle pareti è il prezioso minerale. Dopo qualche minuto davanti a noi sia prono due altre strade. Noi però svoltiamo tutto a sinistra e ci ritroviamo in uno spazio più ampio e più alto dove vi sono anche delle sedie dove i bimbi si possono sedere durante la spiegazione della nostra guida.
Notiamo subito che sulla parete si trovano dei fori, contrassegnati di colore bianco e circondati da una linea bianca continua. Questi venivamo fatti (inizialmente, da due minatori: uno teneva e ruotava una punta di ferro, e l’altro batteva con un martello di ferro sulla punta, sino a creare un foro di circa un metro. Massimo un metro e mezzo) per il carotaggio. Successivamente, il carotaggio avveniva attraverso di un trapano pesante circa 18-20 chili (detto “a secco”). Ciò presentava due nei: il primo era che tutto il peso si rifletteva sul minatore (il lavoro durava 8-10-12 ore, e si lavorava in due turni, su tre se necessario), inoltre tutta la polvere dei minerali veniva respirata dal minatore stesso, che purtroppo si ammalava nel 90% dei casi di silicosi. Questo anche perché le attrezzature in dotazione era scarse: nessuna mascherina, lavoro a mani nude, solo una tuta cerata, un paio di pantaloni cerati e delle scarpe che duravano per un intero anno.
Poi arrivò la tecnologia francese: il trapano aveva una gamba dove tutto il peso veniva scaricato. Inoltre, novità rispetto al suo predecessore, era ad acqua. Trapanando le polveri si trasformavano, grazie all’azione dell’acqua, in una specie di fanghiglia. Ciò presentava una duplice positività: meno polveri respirate dai minatori; grazie all’acqua che creava meno atrito si lavorava più velocemente.
La fase successiva era quella di inserire all’interno dei fori la dinamite. Qui vi furono due modalità:
– la prima e la più pericolosa, chiamata “alla sarda”: si inseriva la dinamite in tutti i fori eseguiti e si faceva saltare il tutto; era un sistema pericolosissimo. Questo perché non si faceva evacuare la miniera e poi si faceva esplodere la dinamite. Ma si faceva esplodere con all’interno della miniera stessa, i minatori; una volta esplosa la dinamite, si rientrava all’interno senza essere sicuri che il tutto fosse messo in sicurezza;
– la seconda chiamata alla canadese: si inseriva la dinamite all’interno dei fori, ad eccezione del foro centrale che veniva lasciato libero, sfruttando l’ossigeno che permetteva di creare uno scoppio maggiore e di maggior potenza. Inoltre si collegava tutta la dinamite a dei fili che seguivano tutto il percorso minerario e arrivavano all’uscita della miniera. Una volta che tutti i minatori erano fuori, al sicuro, si azionava il dispositivo.
Quando il tutto era sicuro, si rientrava in miniera e si iniziava a caricare su dei vagoni (che correvano sui binari ancora oggi presenti sul terreno) il materiale che veniva scaricato in appositi cunicoli scavati nel terreno che andavano a finire a valle. Qui venivano raccolti e portati presso la laviera dove venivano lavorati. La vita in miniera non era solo dura, faticosa, stancante, ma soprattutto pericolosa. Non solo per la silicosi, ma anche perché spesso il soffitto crollava. Vennero messi così a sostegno del soffitto delle travi di castagno sardo, un legno molto robusto, resistente e quando inizia a creparsi si riconosce dallo scricchiolare. Questo era il segnale di allarme per i minatori che si davano alla fuga. Però, bisogna dire che la miniera non era affatto un luogo silenzioso, anzi tutt’altro, i rumori erano fortissimi e non finivano mai, così anche il segnale di preavviso del castagno, era pressoché inutile.
In aiuto dei minatori erano presenti gli abitanti delle miniere, i piccoli roditori. I topi, infatti, hanno un udito sviluppatissimo e fungevano così da segnale di allarme. I topi infatti erano intoccabili. Un altro animale, questa volta però si tratta del canarino, veniva usato nelle miniere ove si estraeva il gas. Essi fungevano da segnalatori di perdita di gas.
Conclusa la visita alla miniera Santa Barbara, percorrendo un altro pezzo di miniera, riprendiamo il trenino e riscendiamo. Ed entriamo nella laviera. È un locale pieno di macchinari, di attrezzatura, caschetti, trapani a secco, trapani ad acqua, foto dell’epoca, la guida ci spiega e ci fa toccare con mano i vari minerali, una vera gioia per i bambini e non solo. La visita si conclude con la messa in funzione di un macchinario dell’epoca, che esperienza!
La miniera venne abbandonata negli anni 80, si cercarono sbocchi in altri settori (ad esempio il chimico, Portovesme), e dopo importanti lavori di ristrutturazione, ecco la miniera in tutto il suo splendore.
Conclusa la visita guidata, durata quasi due orette, ci fermiamo nella sala congressi e meeting dove vi sono degli schermi touch con video, filmati e testimonianze. Sono quasi le 14, vi sono numerose panchine e tavoli in legno immersi nel verde dove poter mangiare e rilassarsi. Perfetto, ne approfittiamo subito. Devo dire che le Miniere di Rosas sono un fiore all’occhiello!
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