deserto namibia

Viaggio nel cuore della Namibia

Classica poltroncina di un aeroporto, 20 agosto, un lunedì, Zurigo, ore di attesa.

Destinazione Sud Africa per poi approdare in Namibia. Compagni di viaggio: la mia agendina di appunti, un libro di lettura, l’immancabile copione da tenere sempre a portata di mano per fare memoria, un giornale, la guida del paese, un libro sulla fotografia, la cartina della Namibia, la macchina fotografica… e tutto il necessario presente nella mia lista ante-viaggio che mi aiuta a non essere colta di sorpresa perché a destinazione non manchi qualcosa. La sensazione che ti manca qualcosa ce l’hai sempre, e qualcosa poi ti manca e te ne accorgi solo dopo, dopo essere arrivata in un posto che non è casa tua.

E con me nel viaggio anche i miei sogni.

Fuori dall’aeroporto infuria un temporale, mentre penso che ho lasciato un blu intenso in Italia o meglio in Sicilia, dove ero nella prima parte della vacanza.

Africa per la seconda volta, e guarderò tutto, assorbirò ogni immagine, ogni tramonto rosso di fuoco e scriverò tutto su queste pagine.

Inizia l’avventura africana

Il giorno dopo siamo già nella Repubblica del Sud Africa, Hazyview. In Africa la terra è rossa, un rosso mattone che contrasta con il verde, un rosso che si coniuga con i suoi tramonti. Abbiamo noleggiato una macchina e siamo già in viaggio su una lunga strada, un piccolo puntino nero visto dall’alto. Hazyview si trova nella provincia del Mpumalanga nei pressi del Kruger Gate, il principale punto di accesso al Parco Kruger. È una piccola cittadina di campagna rinomata per la coltivazione delle banane. Ed infatti intorno a noi banane, banane, distese infinite di banane, ed ancora banane. Questa parte di Africa, il Sud Africa, è stato dominato da colonie inglesi e olandesi, che hanno sfruttato il territorio per le importanti miniere di diamanti. Della dominazione se ne vedono le tracce nelle cittadine ordinate, nei centri commerciali, ma ai confini ancora odore di apartheid, che noti dal filo spinato intorno alle case dei ricchi e dalle baracche presenti appunto nelle periferie.

L’indomani ci tuffiamo nella natura, nel parco Kruger.

Scatto foto, imposto diaframmi, scelgo il tempo, ancora non ho la digitale. Una giraffa mi guarda con i suoi occhioni, sinuosa, elegante, si muove lenta, mangia, si allontana. Alberi nudi e sofferenti, il sole stasera è talmente rosso da sembrare viola. Il buio comincia a scendere, l’anima del parco si sveglia di rumori, suoni misteriosi per certi versi angosciosi. Il nostro viaggio continua tra scimmie, coccodrilli, leoni; qui è inverno.

Sabato, verso Johannersburg. Visitiamo lo Shangana village, a metà strada tra il Blyde River Canyon e il Parco Nazionale Kruger sud. Gli abitanti dei villaggi tradizionali di Shangana invitano a visitare il villaggio per vedere come vive la gente di Shangana. I villaggi pittoreschi si trovano infatti in una riserva di foresta e praterie, e sono aperti tutti i giorni. Qui si possono vedere antiche capanne, stregoni, donne che cucinano ancora con i paioli sul fuoco e la capanna del capotribù, che ha uno squarcio sul braccio regalo ottenuto in una lotta con un guerriero. Il capotribù ha tre mogli, per ogni donna al momento del matrimonio vengono chieste 15 vacche. Ho difficoltà a fotografare, farlo? Non farlo? Mi sento un po’ a disagio.

Finalmente Namibia

Domenica mattina: percorsi 1900 Km in RSA, ora ci aspetta la Namibia. Swakopmund sulla costa atlantica verso Capocross, circondata dal deserto della Namibia. Nel 1884, gran parte del territorio di questo paese fu assegnato alla Germania, e andò a formare l’Africa Tedesca del Sud-Ovest. La sera in albergo mi comincio a documentare sulle varie tappe. Leggo sulla guida della delinquenza presente a Johannersburg, le bande locali. Ogni tanto penso alla distanza da casa, altri piccoli puntini sul mappamondo. Arriviamo a visitare Cape Cross, l’oceano freddo con le sue onde arrabbiate, nebbia e uccelli che lo sorvolano. Cape Cross é un’area naturale protetta classificata come riserva naturale di otarie. Migliaia di foche distese tra spiaggia e rocce. Un odore incredibile che ci rimane addosso fino a quando finalmente possiamo fare una doccia al rientro in albergo. Facciamo scorta alimentare perché da domani per chilometri non incontreremo nulla. Timidi cartelli stradali ai pochissimi incroci. Nei centri più grandi un misto di architettura tedesca e centri commerciali americani. Ci fermiamo ad uno spaccio, dietro al bancone una ragazza locale, la radiolina accesa, gli scaffali semivuoti, 3 o 4 pacchi di pasta, cibo per cani, qualche bibita, qualche snack. Due ragazzini fuori giocano con un copertone di macchina.

Lunedì abbandoniamo la costa e cominciamo ad attraversare il deserto, giallo, a volte rossastro, o marrone. Il paesaggio è in continua metamorfosi. Le dune a volte spariscono e si presenta una vasta pianura, assoluta, dai colori pastello. Dalla radio della macchina noleggiata ascoltiamo musica anche abbastanza moderna, c’è persino un Peter Gabriel che fa capolino tra le note. Direzione Sossusvlei. Biscotti e succo d’arancia ci accompagnano nelle pause di guida. Il lodge che ci accoglie è semplicemente spettacolare, un terrazzo sulla vallata. La mattina dopo sveglia alle 5, cestino del pic nic alla mano e ci inoltriamo nel deserto rosso della Namibia, dopo aver ricevuto le esatte istruzioni per non perdersi. Come orientarci per poi rientrare alla base. Dopo 3 ore di cammino con i piedi nella sabbia, fra le acacie e le dune siamo arrivati alla secca di Sossusvlei. Serve alzarsi presto per arrivare tra le dune prima che il sole appiattisca tutto. La famosa duna 45 fotografata all’alba ha tutto un altro colore.

Il giorno dopo altro trasferimento, ci fermiamo in una fattoria di proprietari francesi, La vallée tranquille. La signora Anna è qui da una vita, arrivata in Namibia con il padre diplomatico. Lei ama la popolazione locale e protesta contro i bianchi che sono venuti ad annullare la cultura locale. Ci racconta quanta gente muore. Lei ha adottato una bambina del luogo. In questa fattoria si ha più l’idea di casa, di intimità. Il figlio della proprietaria ci porta sulla collinetta ad osservare il tramonto e la valle del fiume ora secco, sorseggiando un bicchiere di vino.

Il mattino dopo ci rimettiamo in cammino per arrivare al Fish River Canyon. Siamo ormai nella Namibia del sud. Il Canyon è secondo per dimensioni solo al Grand Canyon in Nord America, e rappresenta una delle maggiori attrazioni turistiche del paese. Si estende per circa 160 km. Il canyon ebbe origine da un movimento tellurico, e nell’arco di milioni di anni fu ulteriormente modellato da fenomeni erosivi. Principale responsabile di questi fenomeni è il fiume Fish River, che oggi é secco per gran parte dell’anno.

Il lodge sembra la casa dei Flintstones… la notte è un po’ freddina…

Windoheck, la capitale

Ricomincia il viaggio verso casa. Ci fermiamo per una sosta a metà strada tra il Canyon e Windhoek, nella regione di Hardap Dome, posto spartano dove i locali fanno le loro vacanze; sa un po’ di abbandono in questa stagione dell’anno. Ci attrezziamo con panini per la cena e domattina raggiungeremo Windhoek, la capitale della Namibia.

Windhoek. Facciamo un bagno nella piscina dell’albergo e giriamo un po’ per la città, brutta copia di città europea trapiantata. Qui le township sono ben visibili, come le chinatown delle metropoli americane. Ricchezza e povertà convivono. Ci siamo spinti un po’ nei sobborghi, dove le casette linde e pulite lasciano il posto a baracche fatiscenti; ci sentiamo osservati mentre passiamo.

Rientriamo in centro e facciamo le spese per gli ultimi regaletti.

Aeroporto di Johannersburg, lo giriamo in lungo ed in largo tutto il giorno, dobbiamo aspettare la coincidenza per l’Italia fino a tarda sera, ma ci sconsigliano vivamente di andare in giro per la città. Ci possiamo accontentare benissimo dei 4400 km percorsi dall’inizio del viaggio.

Una piccola pecca ci doveva essere in tutto questo splendido ed emozionante viaggio. I nostri bagagli! Noi siamo rientrati a casa ma loro… Si sono fatti attendere qualche settimana in più.

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Dove dormire a Windhoek
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nuccia

Nuccia, da sempre appassionata di fotografia da quando le cartoline mi riflettevano le scie luminose lasciate dalle macchine di notte e io volevo sapere come si faceva. Ho sempre fotografato, ma per me stessa. Soprattutto fotografie di viaggi, che amo moltissimo, e quindi reportage a colori o b/n. Mi appassiona bloccare la vita in altre dimensioni, luoghi, nel momento in cui il mio occhio percepisce un alito di anima diversa dalla mia.

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