
Mamma Ganga: impressioni di un viaggio in India

Scrivo a ruota libera, senza nulla di pronto nè di preparato.
Si, avevo pensato al mio quadernino di viaggio, ma poi sono partita senza e le prime impressioni che avevo in testa non le ho potute tracciare. A quel punto ho deciso che sarebbe rimasto tutto lì, nella mia memoria, nei miei occhi, nelle mie orecchie. La mia India con i suoi colori ma anche i suoi odori e i rumori. Ciò che sto scrivendo non sarà registrato da nessun’altra parte.
India: 3 anni che ci pensavo e l’ho fatto, dovevo farlo. Mi dicevano:
“Ma sei pronta? Guarda che è tosta”.
Ero pronta, e non perché servisse altro se non i miei occhi e la voglia di assaporare … e basta. Di povertà ne ho già vista tanta, tanta, in Africa, Tibet, Nepal, Messico… occorre solo moltiplicarla, forse per 3.
Moltiplicare i rumori, moltiplicare i colori e gli odori; e moltiplicare l’incertezza di vivere. Un’incertezza che però ti culla, ti protegge. “ciaì…ciaì...” grida la voce dell’omino sul treno passeggeri per Benares e ti offre tè, a tutte le ore.
Sette (7) interminabili ore, tutto è lento anche se frenetico, lento chi ti serve il cibo e frenetici i risciò per le strade. Macerie e corpi umani che dormono ovunque, mucche e loro prodotti naturali per le strade, fangose.
Sorrisi ce ne sono pochi e mamma Ganga (il Gange) accoglie tutti, chi si lava, chi prega, animali e persone, corpi che bruciano e chi accanto lava indifferente i suoi panni. Tutto è così naturale che anche io sono naturale nel vederli.
Templi e preghiere, sculture erotiche bellissime, vecchie tracce di marajà e storpi. Pazzesca realtà di mutilati sfruttati per chiedere elemosina.
India: tornarci? Forse si…
