
Italia – Caribe in barca a vela: tappa a Casablanca
Era notte e stavo circa dieci miglia dalla costa marocchina, il capo da sorpassare era davanti a me e il vento veniva proprio dalla punta del capo. Questo voleva dire fare bordi su bordi per tutta la notte per poterlo sorpassare, e giusto dietro di lui c’era il porto di Casablanca, dove avrei potuto finalmente riposare, fare acqua e ricaricare le batterie. Il motore per via delle batterie scariche, non si poteva accendere, quindi navigavo senza luci. Ma grazie a dio c’era la luna piena, e mi avrebbe visto qualsiasi peschereccio o altra imbarcazione. La luna illuminava tutto stile giorno. Mi ricordo che qualsiasi cosa proiettava ombre, tanta era la luce della luna piena. Visibilità altissima, e non c’era nessuno nell’arco di miglia. Ero solo io in quello specchio di mare. Il vento del sud ovest, che stava soffiando era caldo, e dopo aver navigato con il fresco aliseo portoghese, proveniente da nord est per notti e notti, faceva piacere quell’aria calda che mi accarezzava il viso. Alla mia sinistra la costa si vedeva perfettamente, con i suoi paesini tra una linea di dune, immense e lunghe chilometri, e l’altra. Le case in lontananza, con le facciate tutte bianche, si distinguevano facilmente dalle marroni dune. Le vele erano tutte aperte, e completamente cazzate a ferro, per sfruttare, qualsiasi soffio per avanzare, e ne avevo assolutamente bisogno, per bolinare.
Approdare sulle coste marocchine: il porto di Casablanca
Erano ormai cinque settimane che viaggiavo su questa imbarcazione, una goletta con i suoi due alberi, che si innalzavano maestosi verso il cielo con le loro vele, lavorando giorno e notte ormai da miglia e miglia. Tutte le vele erano assolutamente consumate e vecchie, quindi bisognava fare molta attenzione, a non issare più dell’aria che potevano sopportare, in maniera da non strapparle e dover perder tempo a cucirle. Senza luci, senza strumenti sofisticati per la navigazione, e senza motore, stavo avanzando ugualmente, avvicinandomi sempre di più alla mia destinazione. Non avevo nulla a disposizione, oltre che le stelle e la bussola, per raggiungere il mio obbiettivo, Capo Verde.
Son partito dalla Sardegna circa a metà settembre, dopo aver visto un annuncio su facebook in una pagina chiamata bla bla sail, che è come bla bla car, ma per la gente in cerca un passaggio in barca, invece che in macchina. L’annuncio si intitolava “cercasi equipaggio per Capo Verde”. Avevo appena finito la stagione estiva, quindi con molta voglia di evadere, e qualche soldino in tasca, decido senza pensarci troppo, di rispondere in privato all’annuncio. Era una ragazza sulla trentina che aveva postato l’annuncio. Dalla foto profilo si vedeva che era una bella ragazza, mora con occhi azzurrissimi, labbra carnose e un naso alla francese.
Le scrivo che sarei interessato a far parte dell’equipaggio, ma che avrei voluto qualche informazione, un po’ più dettagliata sul viaggio. Ad esempio il tipo di imbarcazione, l’attrezzatura, e le varie tappe tanto per iniziare. Mi risponde dicendomi che lei in realtà, aveva solo fatto il favore di scrivere l’annuncio per un suo amico, e che mi avrebbe mandato a breve il suo numero, che avrebbe potuto rispondere a tutte le mie domande.
Circa 5 miglia mi mancavano per arrivare al capo, erano tre giorni che provavo ad avvicinarmi e con molta difficoltà e pazienza, finalmente ce la stavo facendo. Folata dopo folata, lo vedo sempre più grande alla mia sinistra. Le onde sono di un paio di metri, e non mi danno troppo fastidio, ma più mi avvicino alla terra, più cresce in me la paura di incontrare una secca non segnalata, visto che qui sono famose le bastarde.
Secche di sabbia, che si spostano con la corrente sottomarina, quindi un giorno possono essere in un posto, e il giorno dopo a centinaia di metri di distanza. Impossibile da segnalare dunque. Finalmente lascio al traverso sto maledetto capo, e davanti a me, vedo le luci del porto e la gioia che ho nell’entrare è senza limite.
Un pescatore vede che sto entrando a vela dentro il porto, cosa assolutamente vietata, quindi deduce che c’è qualche cosa che non va e segnala alla capitaneria che un veliero sta entrando a vele spiegate, all’interno dell’imboccatura del porto. Piano, piano, riduco sempre più le vele, per diminuire la velocità fino ad arrivare a dieci metri da un peschereccio, e chiuderle completamente. Affiancato al suo lato, lancio le cime d’ormeggio alle persone a bordo, che mi fanno un gesto di consenso.
Beh, mi hanno ormeggiato facilmente alla murata di dritta della loro barca, dicendomi che fino all’indomani mattina sarei potuto restare senza problemi, che tanto non sarebbero usciti prima di allora. La mia felicità si spegne in fretta, quando si avvicinano a me, quelli della capitaneria urlando, dicendomi che non si può entrare in un porto con le vele aperte. Ma subito dopo aver spiegato che ero in avaria con il mio francese pieno di errori, si addolciscono e capiscono la situazione, e mi fanno i complimenti per aver condotto la manovra da solo e a vela, senza l’aiuto del motore, facendomi tornare il sorriso. Sorriso, che ora nessuno poteva spegnermi, perché finalmente ero in sicurezza a terra, e senza danni alla barca, ma solo molta stanchezza e soddisfazione. Saluto e ringrazio, e mi fiondo direttamente in cabina, buttandomi di peso come un sacco di patate sul letto. Credo che non sia durato più di 20 secondi sveglio, appena chiusi gli occhi sono sprofondato in un sonno senza confine.
I sogni in barca a vela
Sognai Lorenza quella notte, eravamo in mezzo ad una valle molto stretta con al centro di essa una pietraia, che formava una sorta di strada larga un metro circa. Eravamo io, lei, Nina e Gnacu. Nina era la mia cagnetta, e compagna di viaggio ormai da anni e Gnacu, il cane di Lorenza. Nonchè altro cucciolo adottato dall’ultima gravidanza di Nina. Lorenza aveva deciso di tenere uno dei 6 cuccioli, che aveva partorito circa 6 o 7 mesi prima la mia bella Ninetta. Scendevamo tutti e 4 da questa valle, e Lory non smetteva più di raccontarmi storie fantasiose, inventate sul momento. Io mi scompisciavo dalle risate, perché erano piene di dettagli a tal punto da meravigliarmi, della fantasia che poteva avere questa ragazza. Il percorso era arduo e a volte incrociavamo gente, per lo più stranieri che venivano da giù, risalendo al contrario del nostro cammino.
Ci avevano detto che al fondo del percorso avremmo trovato una cala, dove poter fare il bagno. Nel cammino incontrammo un albero secco, molto grande, di traverso in mezzo al sentiero. Ci fermammo a fare una sosta, sfruttando l’ombra che proiettava sotto di lui. I cani si riposarono anch’essi al nostro fianco, e poi ripartimmo seguendo il sentiero. Esso si stringeva con l’aumento della vegetazione che si infittiva sempre più, a tal punto da aver davanti a noi solo rami e fogliame di ginepro.
Dopo circa due chilometri di sentiero stretto, tutto d’un tratto il paesaggio cambia completamente davanti a noi, ci appare una scogliera con una scalinata molto precaria per scendere alla spiaggia sotto di essa, con sabbia bianca e acqua cristallina.
Sulla destra, si vedeva imponente un muraglione, dove c’erano amanti del free climbing, che scalavano la parete e davanti l’orizzonte a 180 gradi con il contrasto del mare blu, che schiariva mano a mano, che si avvicinava alla costa, e con la sabbia bianca e le rocce anch’esse bianche, lasciava a bocca aperta. Dei colori incredibilmente fantastici. Sopra l’orizzonte, il cielo di un azzurro chiarissimo, con qualche nuvoletta bianca sparsa qua e là, sembrava disegnato.
Scendemmo facendo molta attenzione, e aiutando i cani nell’impresa fino alla spiaggia. Quando affondai il piede nella sabbia bianca e finissima, pensai che ne valeva proprio la pena, quella sfacchinata piena di sforzi, per scendere fino a lì. In fretta ci spogliammo, e ci tuffammo nell’acqua cristallina e piena di pesci, giocando come dei bimbi sul bagnasciuga, con i cani.
Restammo fino al tramonto, e piano piano mentre la gente se ne andava, il sole si abbassava sempre più, regalandoci un tramonto con colori unici, facendoci ammirare la bellezza della natura. Di colpo sentii un boato e aprii gli occhi, sentendo qualcuno bussare sulla barca da fuori, mi alzo bruscamente per capire che sta succedendo.
Il ritorno alla realtà di Casablanca
Il bussare diventa quasi un prendere a pugni la mia fottuta barca ed esco fuori abbastanza nervoso, per due motivi. Il primo per via del coglione che sta prendendo a pugni la barca e mi ha svegliato. Il secondo, la mia cazzo di barca, o della quale ne sono responsabile, nessuno la prende a pugni ed esco gridando.
Ma vedo davanti a me 4 tipi in divisa e subito di scatto abbasso il tono di voce. Mi dicono che sono della dogana, e visto che sono in un continente che non è il mio di provenienza, devo compilare dei verbali. Mezzo rincoglionito, inizio a leggere di che si tratta ed è tutto scritto in francese. Chiaramente in Marocco, essendo ex colonia della Francia, per comunicare con un europeo, il francese è una lingua più appropriata dell’arabo. Firmo quel che c’è da firmare, e in giro di pochi minuti, mi fanno un badge, con il quale posso uscire tranquillamente dal porto e rientrare, senza andare incontro a continue perquisizioni, o problematiche varie. Il porto commerciale è una realtà a sé, rispetto alla città circostante. Ci sono sbarre con agenti a qualsiasi incrocio. Solo chi lavora all’interno del porto può sorpassarle o come me, se possiede il badge. È la prima volta, che vedo così tanta sorveglianza in un porto. Beh sono tranquillo da un lato, che al mio ritorno in barca, non manchi nulla per via di qualche ladruncolo, almeno spero. Fuori dal porto è tutto spettacolare, automobili stile anni 30, marciapiedi colmi zeppi di gente che vendono, o acquistano, o negoziano qualsiasi tipologia di cose. Dagli animali, al vestiario, agli accessori da lavoro, agli alimenti, uno attaccato all’altro, stile Porta Palazzo tanto per intenderci, ma mille volte più vasto e caotico.
Il tutto mi affascina, mi attrae, un mercato a cielo aperto grandissimo, in poco tempo inizio anche io a far parte del gioco, contrattando e acquistando ciò che mi interessa e piace di più. In breve tempo mi ritrovo con un sacco di borse colme di cose di cui non avevo bisogno, ma sapevo che nel momento in cui ne avrei avuto bisogno, le avrei pagate molto di più, quindi non potevo farmele sfuggire.
Una passeggiata nella città vecchia
È una sorta di labirinto Medina, la vecchia città di Casablanca, contornata dalle sue grandi mura antiche e nobili, con porte d’accesso fatte ad archi, ci si può passare giornate intere rimanendo allibito ed affascinato, dalle strutture architettoniche e dai propri abitanti. Vicoli stretti portano alle varie vie d’accesso, e la gente è molto gentile, senza neppure dover chiedere informazioni, quando ti vedono spaesato, si avvicinano e ti aiutano a raggiungere il sito desiderato. Bellissime donne incrociano il mio cammino, con carnagioni scure e capelli mori, e a volte con occhi chiarissimi a dar un’incredibile stacco cromatico tra il chiaro e lo scuro, nasi piccoli e labbra carnose, capelli mossi e lunghi, il tutto amalgamato da sorrisi luminosi, un cocktail perfetto per un cretino come me, a farmi innamorare praticamente ad ogni incrocio.
Ma il mio alcolismo ha il sopravvento e cerco un luogo dove comperare una birra fresca, ma vedo solo bibite e the caldissimi in mano alla gente del posto. Grazie al mio straordinario olfatto per le droghe sento odore di hashish venire da un gruppetto e mi avvicino per chiedere dove procurarmi una bella birra ghiacciata, sotto quel caloroso sole. Uno dei tre si offre per accompagnarmi in un posto li vicino, dove avrei potuto trovare dell’alcool. Mi chiede se voglio fumare prima di andarcene ma io ringrazio di cuore per la generosità e rifiuto.
Nel tragitto mi spiega che lì è vietato bere alcool, per via della loro credenza religiosa, o che per meglio dire, se la polizia ferma me, che sono europeo con una birra fresca in mano, non mi succede nulla, ma se ferma un musulmano, o lo sfortunato musulmano si fa una notte in una cella di una galera, o paga con una decina di euro il caro poliziotto, e anche a lui è concesso proseguire il suo cammino. Benedetta corruzione, lei si che fa girare l’economia. Beh mi spiega anche che fino a 5 grammi di fumo nessuno va incontro a problemi, ma che se ti beccano con un quantitativo superiore, bisogna aggiungere uno zero, alla cifra da consegnare agli sbirri.
Praticamente Amin, mi ha portato davanti ad un albergo inglese, spiegandomi che all’interno avrei trovato un bar stile europeo, e dopo aver rifiutato il mio invito a bere una cosa insieme, se ne va per la sua strada, e io mi fiondo dentro l’albergo come un bambino a Gardaland. All’interno ci sono molti più marocchini che europei a consumare le bevande del dio bacco, e il tutto non mi sorprende dopo la piccola spiegazione di Amin, sul come funzionano le cose lì a riguardo.
Bene, dopo essermi scolato ben tre birre fresche, e bello carico, decido di tornare al porto e incominciare a mettere a posto la barca. Cavolo la barca è in condizioni disumane, un caos incredibile, sembra sia passato un tornado all’interno, grazie a dio una barca si riorganizza e si pulisce in fretta, essendo molto più piccola di una casa, e dopo un po’ ritorna ad essere una barca con la b maiuscola.
La mia cena sarà tutta a base di sapori marocchini del mercato e fiumi di vino francese acquistato a costi bassissimi a Gibilterra qualche settimana prima. Il relax e la pancia piena mi fanno fiondare in un sonno senza dover insistere troppo tempo.
Il secondo giorno a Casablanca: la Moschea
Al mio risveglio decido di ritornare in città e questa volta sono deciso ad andare a visitare la Mecca, la sacra chiesa musulmana, e questa di Medina, da quel che so è molto importante.
Passati tutti i controlli per uscire dal porto, mi immetto nelle viuzze piene di gente e stavolta scelgo di cambiare tragitto. Più volte al giorno si sentono canti provenienti da grandi casse audio situate in tutta la città, dalla quale fuoriesce una voce e credo sia sempre la stessa, di qualche predicatore, e mi viene spiegato dalla gente del posto che avviene cinque volte al giorno e si chiama il muezzin. Che dall’alto del minareto, richiama con la sua voce melodica, i fedeli alla preghiera. Le prime volte che lo ascoltavo effettivamente, era un po’ inquietante, ma poi ci ho fatto l’abitudine, e a dir la verità non è sgradevole, anzi!
Chiedo informazioni per la strada più breve da fare per raggiungere la mecca, ad un bar con una terrazza all’esterno, dove tutti fumano seduti a cerchio intorno ad un narghilè. Ci saranno una decina di gruppetti, il posto non è piccolo. E quando capiscono che sono italiano, mi indicano un tavolo, al quale mi avvicino un po’ intimidito. Un signore urla qualche cosa in arabo e un ragazzo più meno della mia età, mi dice “ah! sei italiano?” Io rispondo di si, e ci presentiamo. Gli chiedo informazioni per raggiungere la moschea, e si offre gentilmente di accompagnarmi, però insiste nel volermi offrire un bicchiere di the e a farmi provare il narghilè.
Il the alla menta ha un gusto favoloso, e la fumata del narghilè non era male, ma troppo dolce il tabacco alla fragola, per i miei gusti. Lui si chiama Raschid, e terminato il the, ci incamminiamo per le viuzze strette del centro di medina. Nel tragitto mi spiega che la moschea di Casablanca, è una struttura recente, costruita da appena una quindicina di anni, dopo sei di lavori. Che è la seconda al mondo per grandezza, solo dopo la moschea della mecca. L’architetto è stato un certo Pinseau, un francese, che ispirandosi ad un verso del corano “il trono di Dio, fu costruito sull’acqua” aveva immaginato una struttura, come un immenso vascello. Infatti aveva deciso di sviluppare la struttura, proprio sull’oceano, a parer suo era completamente maestosa e me ne sarei accorto, quando l’avrei vista con occhi miei diceva, per via delle gigantesche porte di ingresso, gli archi, per lo spazio che può far raggruppare i fedeli (che può accogliere 25.000 persone) e per il minareto, che spicca nel panorama di Casablanca con i suoi 210 metri di altezza.
Per la Moschea sono stati utilizzati materiali pregiati provenienti da ogni parte del Marocco e dall’Italia: il marmo di Carrara per il mirhab, la nicchia che indica la direzione della preghiera, l’onice, il marmo di Agadir e il granito di Tafraut, per gli incantevoli mosaici del pavimento, il cedro policromo che decora gli imponenti soffitti e il vetro di Murano per gli spettacolari lampadari alti 15 metri.
In questa struttura gli elementi tradizionali della cultura marocchina vengono esaltati da aggiunte moderne e innovative; il soffitto all’interno è retrattile e il pavimento è interamente riscaldato, inoltre, dalla sommità del minareto, due fasci di luce laser sono indirizzati verso la Mecca.
Dopo un via vai di viuzze e piazze, ci ritrovammo a girare un’angolo, e alzando la testa, per la prima volta nella mia vita vedo la Moschea di Casablanca. Era a centinaia di metri, ma effettivamente Raschid aveva ragione. Era maestosa e si innalzavano i colori mozzafiato della sua facciata da terra, con il mare alle sue spalle, blu intenso. Era pazzesca!
Mi affrettai a raggiungerla, e mi sorprese vedere tante guardie armate, nelle strade adiacenti. Raschid decise di non avvicinarsi ulteriormente, perché diceva di aver del fumo in tasca, e mi salutò con la promessa che ne sarei stato entusiasta nell’avvicinarmi sempre più. Con il loro saluto, salam malik hum, mi da una pacca sulla spalla e cambia il suo cammino.
Io proseguendo, e avvicinandomi sempre più, la fotografavo da qualsiasi prospettiva. Era chiusa, ma dall’esterno, si poteva vedere con quanta maestria, i suoi architetti e artigiani avevano lavorato. Dall’esterno, davanti alla entrata centrale, un larghissimo piazzale piastrellato a stile mosaico, raffigurando forme geometriche la anticipava. Fuori, vasche che un tempo, erano fontane, sembravano opere d’arte, con colonne, capitelli e archi a punta, completamente lavorati a mano, e colorati con mosaici sempre geometrici, che lasciavano a bocca aperta. Molti europei la fotografavano, essendo la unica moschea al mondo aperta ai non musulmani. Si riposavano sotto i portici, all’ombra da loro proiettata. Andai al lato della moschea dove a picco, scendevano le rocce, e il mare infinito dopo di loro, tutto era magico, ma quella magia doveva finire.
La magia di un bancone del bar a Casablanca
Il mio alcolismo, di nuovo aveva scelto di sovrastare su qualsiasi magia, panorama o religione che sia. Chiaramente raggiunsi nuovamente il mio amato albergo del giorno precedente, dove all’interno c’era un bel baretto che vendeva alcolici. Dentro, come se non fosse passato un giorno intero, ritrovai le stesse facce del giorno precedente al bancone, e incominciai a pensare che era quel bancone ad essere magico. La magia del dio bacco, alla fine ha avuto la meglio su qualsiasi religione, e credo che abbia fatto anche meno morti. Feci spesa nel cammino di ritorno, e comperai carne a 50 centesimi al chilo, pesce ad ancora meno. La verdura e la frutta, la pagai massimo ad una trentina di centesimi al chilo, riempito nuovamente buste su buste tornai al porto.
Feci un altro viaggio al centro città, per acquistare 5 boccioni da 8 litri cada uno di acqua, e vi garantisco che tornare a piedi, con 40 kili di peso, sotto il sole cocente, non è stato nulla di facile. Credo di aver bestemmiato ad ogni passo, e in più lingue soprattutto. Bene ma non benissimo, la barca era in ordine, la cambusa fatta, di acqua a bordo ne avevo per giorni e giorni, il gasolio l’avevo fatto, anche se non molto, ma questo per scelta, visto che il mio viaggio doveva essere a vela, senza inquinare e quindi il motore serviva solo per entrare ed uscire dai porti, visto che è vietato teoricamente farlo a vela, ma io a volte lo facevo a dir la verità.
L’ultima volta che lo avevo fatto, era proprio li a Casablanca tra l’altro. La barca era abbastanza in ordine ed era arrivata l’ora di ripartire. Lasciai gli ormeggi messi al peschereccio alla mia dritta, e con una accelerata uscii dal porto, incrociando bestioni cento volte me, e una volta fuori dal porto, mi allontanai anche da Casablanca, tenendo un buon ricordo di una bellissima città magica e di un bancone pieno di gentaglia assetata.
La partenza e il nuovo incontro
Ciao ciao Medina cara… il vento era a favore, aperte le vele e spento il motore, la navigazione riaveva inizio, con rotta a sud west. Dopo qualche ora di navigazione, mi ricordo che stavo in pozzetto, con il timone bloccato in rotta, fumando una sigaretta e sorseggiando una buona tazza di caffè, vidi un delfino saltare fuori dall’acqua, e poi un altro ed un altro ancora. Andai a prua, e una decina di delfini stavano giocando e seguendo la mia rotta, ero circondato da loro, ero letteralmente dentro un branco di delfini. Spesso ne avevo incrociati nel mio cammino, ma mai come quella volta, erano tantissimi, mamme con cuccioli che saltavano di continuo a pochi metri da me, una coppia di maschi adulti saltava contemporaneamente, e uscendo dalla superfice dell’acqua di almeno un metro e mezzo. Ad ogni salto si avvicinavano sempre di più. Mi sporsi fuori con il braccio, e riuscì a toccarne uno mentre usciva dall’acqua, sembrava gli avesse fatto piacere il tatto, perché risaltò nello stesso punto precedente incontrando nuovamente la mia mano, ma questa volta il sol toccarlo si tramuto’ in una vera e propria carezza, dalla testa fino alla coda. Non avevo mai vissuto un’emozione così grande. Era come quando si accarezza un cane, con la differenza che il cane sta fermo e tu lo accarezzi con la mano, qui invece era l’inverso. Io stavo fermo con la mano, e il delfino si strofinava ad essa, un contatto unico ed indescrivibile. Continuarono sulla mia rotta per una buona mezz’ora, quando ad un certo punto, i salti si allontanarono sempre più, fino a veder delle piccole macchie da lontano. Un poco di compagnia ogni tanto in mezzo al mare, non guasta per niente.
Tornai in pozzetto dopo aver dato una controllata alle vele. Tutto era in ordine e il vento continuava costante a soffiarmi in poppa. Le ore passavano dolci e serene e le miglia aumentavano. Il tramonto ancora una volta mi emozionò con i suoi colori, con la luna che stava sorgendo da est, mentre il sole tramontava dal lato opposto, ad ovest. Una tranquillità si fondeva con il cullarmi delle onde, che da dietro non facevano altro che accelerare la barca. L’oceano, lo scafo, le vele, il vento ed io ci fondevamo sempre più, in un unico elemento, energia pura. Quando sono in navigazione, vado sottocoperta il minimo indispensabile, solo per cucinare e dopo il tramonto decisi di cucinare un bel pollo al forno, in maniera da non dover distrarmi troppo a spadellare sotto, ma poter stare il più possibile fuori a controllare di non andare in rotta di collisione, con altre imbarcazioni. Le luci di navigazione erano accese, ma il rischio di incontrare qualche peschereccio lungo la costa marocchina, che non le abbia accese, è molto alto, tenendo conto delle mie esperienze passate in quelle acque. Nonostante provenisse da nord est, il vento non era freddo. Anzi, passai la notte, giusto con una tuta, ma senza bisogno di cappellini o guanti vari. Passai una notte deliziosa, guardando le stelle e seguendo la bussola ogni tanto, giusto per assicurarmi che la rotta, fosse sempre la medesima. Il firmamento illuminava il cielo, e si distinguevano le costellazioni con una facilità incredibile. Nulla di paragonabile all’osservarle dalla terra, solo in mare ad occhio nudo si possono vedere così limpide, anche con la luna piena. Quando iniziò ad albeggiare, calai la canna da pesca, con un pesciolino artificiale lungo dieci centimetri, in maniera da attirare una bestia bastante grande, ma non troppo.