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Una giornata a Salci, il borgo che non deve morire

Gloria e declino sono un binomio sovente ripetutosi nella storia umana.

Così, vi sono luoghi a cui il destino, dopo un lungo splendore, ha riservato un decadimento all’apparenza fatale. A cui, però, ancora si può (o meglio, si deve) rimediare.

È il caso di Salci, piccolo centro fortificato del nord-ovest dell’Umbria, a due passi dal confine con la Toscana. In questa antica roccaforte, ai nostri giorni sita nel comune di Città della Pieve, in provincia di Perugia, un tempo riecheggiavano le voci dei contadini e degli artigiani locali, nonché dei mercanti giunti da lontane contrade. E persino dei soldati facenti parte della locale guarnigione, allorché, dalla sommità del colle coperto di foreste ove si adagia, era la capitale del glorioso Ducato che prendeva il suo nome.

Oggi solo il soffio del vento e le strida degli uccelli di bosco riecheggiano nel borgo. Rovi e rampicanti cingono in un tragico abbraccio pietre ancora intrise di storia. Imprimendo su questo sito un toccante fascino decadenziale, quasi rendendolo un’irresistibile meta da artista crepuscolare. Ma, al tempo stesso, gridando con fervore che Salci non deve morire.

Piazza Bonelli, una delle due corti interne di Salci
Piazza Bonelli, una delle due corti interne di Salci

Da capitale di Ducato a borgo disabitato

Le origini di Salci affondando nel Medioevo: era il 1243 quando l’imperatore Federico II di Svevia incluse questo piccolo centro, probabilmente nato come insediamento monastico (come suggerito dallo storico Gaetano Fiacconi), entro i possedimenti della vicina Castel della Pieve (l’odierna Città della Pieve).

La sua posizione strategica, fra Umbria e Toscana, alla sommità di un placido colle incuneato fra le (allora) malsane acque palustri della Valdichiana e a ridosso della via Francigena, accrebbe l’interesse di nobili casate. Principalmente i Bandini, famiglia d’origine fiorentina trapiantatasi a Castel della Pieve. Ma anche gli orvietani Monaldeschi, i Montemarte da Corbara (signori anche della vicina Monteleone d’Orvieto), nonché i celeberrimi condottieri Gian Paolo Baglioni e Cesare Borgia. Furono i Bandini ad avere alfine la meglio: sotto di essi il borgo, nel frattempo fortificato, prosperò. Tanto che, nel 1568, papa Pio V lo proclamò capitale del relativo Ducato, feudo dello Stato Pontificio. Capofamiglia era all’epoca Lucrezia, che tuttavia perì due anni dopo senza eredi.

Porta d'Orvieto
Porta d’Orvieto

Pio V assegnò allora il Ducato al nipote Michele, membro della casata dei Bonelli. Costoro avrebbero mantenuto la guida del Ducato per il resto della sua storia. Nel 1816, il duca Pio Camillo rinunciò ai diritti feudali su Salci, che rientrò nella piena sovranità dello Stato della Chiesa. Alfin divenendo, nel 1860, con l’unità del Paese, parte del neonato Stato italiano.

Salci, che con la bonifica della Valdichiana ora si erigeva su una rigogliosa campagna, seguitò a vivere. Botteghe, una locanda, un ufficio postale, una drogheria, una chiesa e, tutto attorno, fertili agri ne mantenevano salda la popolazione, composta da alcune centinaia di abitanti. A costoro si aggiungevano quelli delle case coloniche che sorgevano presso i circostanti poderi. Questi ultimi, secondo l’organizzazione delle terre all’epoca tipica in Italia centrale, erano ricompresi in una grande “fattoria”, ovvero un’azienda amministrata da un fattore e operante tramite la coltivazione (di regola, a mezzadria) dei relativi campi. I Bonelli restarono proprietari di Salci fino al 1886, allorché la cedettero a Vittoria di Mirafiori (figlia del primo re d’Italia Vittorio Emanuele II e della moglie morganatica Rosa Vercellana, nota come la “Bela Rosin,“), la quale si trasferì in un locale villino con l’amante, il marchese Paolo De Simone.

Ricompreso nel comune di Città della Pieve, il borgo cambiò ulteriormente proprietari. Ma, nella seconda metà del Novecento, Salci assistette ad un progressivo quanto irresistibile crollo della sua popolazione. E, con la morte dell’ultimo residente (l’anziano parroco don Pietro Calzoni) nel 1998, restò totalmente disabitata.

Del complesso è attualmente proprietaria una società, che negli anni Novanta tentò invano di trasformarlo in una struttura agrituristico-venatoria.

Gli abitanti della zona hanno, frattanto, costituito il comitato “Salviamo Salci, che si batte affinché possa tornare a vivere un borgo caro a chi ivi è nato e prezioso per l’intera Italia. E, nel 2012, grazie alla segnalazione dell’attore e regista Carlo Verdone, Salci è stata inclusa nel censimento de “I luoghi del cuore“, progetto promosso dal FAI e da Intesa San Paolo e destinato al recupero e alla valorizzazione di una serie di siti italiani.

Un viaggio nel silenzio di Salci

Appena quattro chilometri separano Salci dal vicino casello A1 di Fabro. Da qui, l’antica capitale ducale si raggiunge percorrendo una strada sterrata che s’inerpica sul colle salcese, contornata qua e là da una verde campagna talora punteggiata da casali abbandonati.

Porta di Siena salci
Porta di Siena

Fra la quiete delle foreste di quest’angolo di Umbria a ridosso della vicina Toscana (il confine con la provincia di Siena dista neppure tre chilometri in linea d’aria), si nota l’imponente Porta d’Orvieto, rivolta a sud. All’esterno, la struttura si affaccia su uno spiazzo dedicato ad uno dei salcesi più noti: l’ingegnere navale Achille Piazzai, progettista, fra l’altro, del celeberrimo transatlantico Rex.

Tramite la porta, sovrastata da un’elegante merlatura guelfa e ancora recante lo stemma dei Bonelli, si giunge presso un’ampia corte, detta Piazza dei Crescenzi, intitolata alla storica famiglia baronale romana, un cui ramo confluì, per via matrimoniale, nei Bonelli.

Il piazzale, ricoperto d’erba, è per gran parte interdetto all’accesso da una rete. Se ne può percorrere il lato destro, da cui si può osservare l’evolversi della storia di Salci. Costruzioni squisitamente medievali si affiancano a strutture risalenti all’epoca in cui il borgo fu un centro rurale.

Su gran parte degli edifici, per lo più sprangati, compaiono cartelli che avvisano del loro stato pericolante. Qua e là si notano segni di tentativi di restauro, oltre a memorie della vita di un tempo ormai lontano.

La fonte al centro di Piazza dei Crescenzi
La fonte al centro di Piazza dei Crescenzi

Tramite l’interna Porta dell’Orologio, si giunge nell’altra corte, Piazza Bandini. Sopra la porta corre la pittoresca Loggia degli Spiriti, un tempo usata dai duchi salcesi per raggiungere la locale Chiesa. Quest’ultima, intitolata a San Leonardo di Noblat (patrono degli schiavi), svetta immediatamente a destra: sormontata da una cuspide barocca a tre pinnacoli e affiancata dal campanile, non è al momento accessibile.

Porta dell'Orologio, sormontata dalla Loggia degli Spiriti
Porta dell’Orologio, sormontata dalla Loggia degli Spiriti

Sul lato opposto della piazza, si nota, sotto un torrione, l’altro storico accesso al borgo (oggi non utilizzabile): è la Porta di Siena, rivolta verso nord, la quale, con la citata Porta di Orvieto, rimarca l’antico ruolo di crocevia di Salci fra le due potenti città medievali.

Surreale è il silenzio che si avverte fra i vetusti edifici. Qui, ove pulsava la vita del borgo, restano ancora una fonte, un pozzo e una tradizionale macina da mulino in pietra, oltre ad un vecchio aratro. Ricordi di un tempo ormai remoto, allorché l’antica capitale ducale divenne il cuore di una genuina società agreste, custode di secolari tradizioni, che col duro lavoro valorizzava la fecondità delle sue terre. Ricordi che, nel visitatore, suscitano un intenso fascino velato da una nostalgica malinconia.

Antica macina in Piazza dei Crescenzi
Antica macina in Piazza dei Crescenzi

Ma un luogo, si sa, non si può comprendere né apprezzare appieno senza aver udito o letto le parole di chi lo ha vissuto. Chi non ha modo di ascoltare la viva voce degli ultimi salcesi, può consultare un libro: “Salci nel ricordo dei suoi abitanti”. Edito nel 2016, raccoglie le testimonianze di coloro che qui sono nati (tra cui il colonnello Mario Giuliacci, noto meteorologo) o che vi hanno comunque trascorso parte della propria vita.

Si scopre così che, ove oggi regnano la solitudine e il silenzio, un tempo s’intrecciavano le vite di centinaia persone (intorno alla metà del Novecento, fra il borgo e i poderi, vivevano circa milleduecento persone), scandite dal lavoro nei campi o nelle botteghe e dalle tradizioni religiose e civili. Tra le più sentite dai salcesi, si annoveravano la Festa della Madonna della Provvidenza (24 settembre) e la Fiera di San Leonardo (6 novembre), oltre alla processione di Pasqua, al carnevale e all’Ascensione: in quest’ultima occasione, gli abitanti di ciascuna delle due piazze vi allestivano al centro un grande falò, cercando di realizzarlo più grande dei “rivali” dell’altra. Salvo poi festeggiare tutti insieme, nella più squisita fraternità che contraddistingueva i rapporti interpersonali della società contadina del tempo. Le piazze tornavano allora unite, fra voci gioiose, balli e canti popolari.

Piazza Bonelli
Piazza Bonelli vista dal lato settentrionale: si notano il pozzo, la Chiesa di San Leonardo e la Porta dell’Orologio

Il 30 e il 31 agosto 1975, qui si tenne pure un concerto a cui parteciparono artisti del calibro di Rino Gaetano, Lucio Dalla, Gabriella Ferri, Eugenio Finardi, Mario Schiano e Antonello Salis.

Ma Salci, all’epoca, stava già sprofondando nel suo declino. Oggi non riecheggiano più note musicali, né si ode la voce dei suoi abitanti, né si accendono più i falò. Solo il vuoto, la solitudine e il silenzio. Tuttavia inframezzato dal grido dei suoi ultimi abitanti o dei loro discendenti, nonché delle sempre più persone venute da lontano e innamoratesi di questo luogo: “Salci non deve morire!”.

Un tuffo nell’enogastronomia umbro-toscana: l’Agriturismo Il Felcino

Una completa immersione nell’amena zona in cui ci troviamo non può prescindere dall’assaporare le prelibatezze enogastronomiche locali. Le quali, inevitabilmente, risentono della posizione di crocevia fra Umbria e Toscana.

A circa 6 km da Salci, si trova il luogo ideale. È l’Agriturismo Il Felcino, sito nell’omonimo vocabolo, anch’esso nel comune di Città della Pieve.

Agriturismo Il Felcino, immersa nella campagna umbra
La splendida struttura dell’Agriturismo Il Felcino, immersa nella campagna umbra

In un incantevole angolo di pace, Il Felcino offre sia ospitalità presso deliziosi appartamenti, sia una cucina che fornisce un’estasi di sapori, da godere all’interno di un grazioso ambiente, curato nei minimi dettagli, dalla mobilia alle più piccole suppellettili.

Il personale, che spicca per professionalità e simpatia, serve ottime pietanze, fra cui si distinguono: gli abbondanti taglieri di salumi, formaggi e bruschette; i primi piatti a base di pasta fatta a mano; la carne di mucca di razza chianina di primissima qualità (speciale la bistecca alla fiorentina); fra i contorni, le patate e le cipolle cotte nella cenere.

Sapiente anche la scelta dei vini, con eccellenze sia umbre (fra cui il Rosso e il Sagrantino di Montefalco, nonché il Ciliegiolo) che toscane (tra le quali il Chianti, il Rosso e il Brunello di Montalcino, oltre al Nobile di Montepulciano).

Scoprire un angolo di Umbria a cavallo

Una peculiarità dell’Agriturismo Il Felcino è la presenza, all’interno della relativa tenuta, di un maneggio ove si realizzano corsi di equitazione e ippo-trekking, oltre a ottime stalle che forniscono ospitalità ai cavalli.

Il personale, particolarmente competente nella cura di questi animali, gestisce anche un’altra superba struttura presso la vicina località di Ponticelli. È il centro ippico “Equi-Confort”, anch’esso sede di corsi di equitazione e di ampie, pulite e attrezzate stalle che, unitamente all’ameno ambiente locale, garantiscono un’eccellente sistemazione per i cavalli ivi ospitati.

Si ringraziano per l’ospitalità, in occasione del blogtour del 23-25 marzo 2018,
il Comune di Città della Pieve, l’Agriturismo Il Felcino e il Centro Ippico Equi-Confort.

Buon viaggio!

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Paolo Menchetti

Paolo Menchetti

Nato ad Arezzo nel 1982, una laurea in giurisprudenza e un titolo di avvocato appeso al chiodo. Un grande amore per la fotografia, i viaggi e la scrittura. Tre passioni che ho unito nel lavoro che ho scelto di fare: il fotoreporter. Il mio obiettivo: far vivere le esperienze che ho vissuto in un luogo ai lettori, nella speranza di stimolarne il desiderio di scoprirlo a propria volta.

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Gianfranco
Gianfranco
24 giorni fa

Esiste un progetto anche privato per la ricostruzione e ripopolamento del Borgo di Salci? Forse c’è una comunità o simile che ricerca persone disposte, ciascuna per la propria parte, nel partecipare a questa ricostruzione / finanziamento per poi trasferire lì la propria residenza.
RESIDENZA! …non “casa vacanza”.
Io sarei davvero interessato nel parteciparvi.

Pellegrino Villani
Pellegrino Villani
5 anni fa

E’ incredibile la quantità di borghi presenti in Italia dimenticati da tutti, che hanno delle belezze incredibili.
Ben vengano gli articoli dell’amico Paolo, che con foto stupende e descrizioni che sembrano pennellate riesce a dare una nuova vita a questi luoghi dimenticati da tutti.
Complimenti.

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