Cartagena Colombia

Diario di viaggio in Colombia: il primo giorno a Cartagena

Appena fuori dalla hall dell’aeroporto tassisti che giocano a fare i teenager con espressioni tipo buddy, bro, chico mi danno il benvenuto in questo meraviglioso paese. 

Accetto un passaggio in ostello dal più cheap e durante il tragitto cerca di vendermi una chica per quella sera. Provo a cambiare discorso chiedendo il perché tutti avessero i vetri dei finestrini così scuri e mi risponde velocemente: per il sole! E continua con le chicas. Divertito ma senza alcuna intenzione di accettare sto al gioco. 

In ostello mi accoglie una colombiana con un pantalone grigio e una camicia bianca distinguendosi da tutti i tipi di abbigliamento che mi è capitato di vedere in questi primi attimi in Colombia. Ha un aspetto molto curato e un bel sorriso. 

Fotocopia del passaporto, chiavi della camera e finalmente posso riposarmi qualche ora prima di cominciare a vivere il Sud America

Tum… tum… tum… tum…

Mi sveglio con il rumore delle pale del ventilatore che oscillano come se dovesse staccarsi da un momento all’altro e arrivarmi in fronte. 

La luce era rimasta accesa e il cellulare era ancora sul petto. Guardo l’ora, è ormai sera, alzo di nuovo la testa controllando che il ventilatore non si stacchi.

Mi tocco la pancia, sono sudato, ributto la testa sul materasso quando sento qualcosa muoversi sotto il letto. 

Mi affaccio, con la velocità di un bradipo, sotto la rete del letto e mi accorgo di un topo nell’angolo. 

<Merda il topo no!> 

Mi alzo e apro la porta della camera ma il topo non si muove. Cerco di indirizzarlo verso l’uscita ma appena sposto il letto corre nel bagno.

Entro e il topo è scomparso, guardo dappertutto fino a quando noto un piccolo buco nel muro in basso. Prendo un po’ di carta igienica e lo tappo pensando che avrà altre uscite, se la sanno cavare i ratti. 

Dopo una rigenerante doccia fredda mi incammino alla ricerca di qualcosa da mettere sotto i denti.

I colori del centro storico, i sorrisi dei locals, l’odore del cibo cucinato per strada mi mettono di buon umore e mi viene una gran fame.

Dopo qualche centinaia di metri mi trovo davanti ad uno street food, solo spiedini di carne mista per meno di un dollaro. Ne prendo due e continuo a camminare. Arrivo in una piazza, un sacco di gente seduta intorno alla chiesa, locals ovunque che suonano qualche strano strumento, cantano, ballano, mangiano.  Decido di bere una birra lì, mi sembra una festa e invece è solo un tranquillo giovedì di gennaio a Cartagena. Appare un ragazzo accanto a me che vorrebbe vendermi qualcosa, rifiuto ma mi sta simpatico e ci scambio due chiacchiere. 

Il suo nome è Andres, colombiano e vive qui godendosi la vita. Ancora non sapevo sarebbe diventato un mio grande amico ma noto subito la sua sincerità. In viaggio ho imparato a fidarmi della gente, le osservo per bene e il primo impatto mi aiuta molto a capire che tipo di persona sia.

Parlando del più e del meno viene fuori che sono un bartender, o almeno questo faccio per mantenermi in viaggio. Mi consiglia un bar non lontano dalla piazza, mi dice che è il migliore di Cartagena e che ospita spesso bartenders di fama mondiale. Spalanco gli occhi incredulo dicendo che ci andiamo proprio adesso.

Il posto è molto serio, ci presentiamo entrambi con shorts e maglietta e sorseggiando una birra in bottiglia. 

“Dove credete di andare ragazzi?” – ci dice il bodyguard accennando un sorriso.

“Dentro amico mio” – replica Andres.

“Datemi i documenti e lasciate la birra, state troppo su di giri, calmatevi”.

Vorrebbe essere convincente ma gli viene da ridere, è divertito e lo siamo anche noi. 

I bodyguards hanno sempre quel modo di porsi molto duro, lui è tutt’altro. Mi sento ben accolto e in qualche modo protetto, in fondo abbiamo solo voglia di divertirci e bere un buon drink. Questo lo capisce e ci lascia entrare.

Ci appoggiamo al banco e una ragazza mi chiede se avessimo bisogno di un menù. 

“Of course” – scosso dalla sua bellezza.

“Qui trovi i cocktails internazionali e sul retro i nostri”- mi risponde in spagnolo, un po’ imbarazzata.

“Il tuo preferito qual è?” – replico guardandola negli occhi non curante del menù, volevo sapere di lei, dei cocktails non me ne importava nulla in quel momento.

“Io di solito bevo questo qui, è a base di gin con un retrogusto di agrumi”

Abbiamo gli stessi gusti, penso divertito.

Andres nel frattempo ruota sullo sgabello come un bambino dicendo che non sedeva su una di queste da quando smise di tagliarsi i capelli.

Scoppio a ridere e insieme la ragazza.

“Come ti chiami?”- le chiedo in inglese.

“Non parlo bene inglese, mi chiamo Osmari comunque, tu? Hai la faccia da latino”

“Piacere di conoscerti Osmari, sono Giuliano, ci sei andata vicino, sono Italiano”.

“ Lo sapevo! Vi porto due scorpion quindi?”

“Si Andres beve di tutto, va benissimo”

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Giuliano Leone

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