
Cortona, tradizioni e vedute dal balcone della Valdichiana (parte 2)
L’articolo prosegue da Cortona in un giorno: Val di Chiana da fotografare
Il balcone sulla Valdichiana
Sorgendo su uno dei più alti colli dell’area, Cortona seduce i visitatori tra le altre cose anche per gli ameni panorami che offre sulla sottostante pianura, come se questa città fosse un balcone sulla Valdichiana.
Splendido, al termine della Ruga Piana, è quello di Piazzale Garibaldi. Qui, dietro a un obelisco dedicato all’eroe dei due mondi, tra una fila d’alberi le cui chiome si aprono come archi inframezzati da panchine di pietra, si contempla la vallata chianina a partire dai colli che segnano il confine tra la Toscana e l’Umbria. Sullo sfondo si erge la mole del Monte Amiata, mentre oltre i declivi tosco-umbri spunta persino una piccola porzione del vicino Lago Trasimeno, proprio nel punto su cui vi si affaccia Castiglione del Lago.

Analoga è la visuale che si scorge dai vicini Giardini Pubblici, mentre, per “completare” la panoramica verso nord, si può scegliere un altro affaccio, ad esempio quello presso il parcheggio fuori Porta Bifora; oppure, si può salire su un edificio (consigliatissimo è Palazzo Pretorio). In tal caso, si godranno anche le propaggini settentrionali della Valdichiana, fino ad un’altra grandiosa “terrazza”, Civitella, nonché ai colli che separano la Provincia di Arezzo da quella di Siena.
Un panorama completo si ammira, però, dalla sommità del colle cortonese. Qui sorge uno degli edifici più affascinanti di Cortona, la Fortezza del Girifalco. Di probabile origine etrusca, fu potenziata nel Duecento, per poi essere sottoposta a un profondo intervento architettonico da parte di Firenze nel XVI secolo. Estremamente suggestiva è la visuale che si ha sia dalle finestre che dai giardinetti esterni, inframezzati da pietre e cipressi, ove, per gran parte del giorno, l’unico suono che si avverte è il sibilo del vento attraverso le fronde degli alberi, in una beatitudine che permette di contemplare appieno l’infinito.
Cortona è anche per questo motivo un’imprescindibile meta per pittori, acquerellisti e fotografi (questi ultimi sono attratti fin qui anche dalla celeberrima rassegna fotografica internazionale “Cortona on the move”, che si tiene ogni anno tra luglio e settembre, coinvolgendo autori da ogni parte del mondo). Da quassù, si ammirano l’alba che dipinge di colori tenui la valle, il tramonto che la infiamma e il crepuscolo che la trasforma in un grandioso presepe dalle mille luci. Nelle stagioni più umide, mentre la sottostante pianura si sveglia avvolta da una coltre di nebbia, Cortona si affaccia su un candido oceano di nubi. E, almeno per qualche ora, si mostra come una fiabesca città fluttuante nel cielo.
Un viaggio nel tempo: Cortona etrusca
Cortona vanta un antico quanto glorioso passato di lucumonia, cioè di città-stato etrusca. L’eredità dell’antico popolo dell’Etruria, che tanto rese questa città fiorente nelle arti e nel commercio (Cortona batteva persino una propria moneta), è ancora particolarmente forte.
Le imponenti mura cittadine, con la caratteristica Porta Bifora, ne sono una conferma.
L’altra è rappresentata dalle vestigia rinvenute in scavi archeologici o, spesso, anche per caso nel territorio cortonese. In effetti, quest’area pullula di reperti, molti dei quali probabilmente ancora racchiusi nelle viscere della terra.
Imperdibile è la visita al citato Museo dell’Accademia Etrusca e della Città di Cortona (meglio noto con l’acronimo di MAEC), ospitato nel Palazzo Pretorio, in Piazza Signorelli.
L’azzeccatissima organizzazione interna del museo segue una serie numerata di saloni che partono da ben prima dell’età etrusca, con fossili, nonché reperti preistorici, a testimonianza della vitalità dell’area anche in ere remote.
Presso le sale dedicate agli Etruschi sono ammirabili centinaia di manufatti della vita di ogni giorno, cui si alternano elmi e altri oggetti militari, opere votive, urne cinerarie e altri reperti facenti parte dei corredi funebri rinvenuti nelle locali tombe, oltre a mirabili oggetti d’oreficeria (su tutti, una splendida fibula in oro del VI sec. a.C.).
È in bronzo, però, l’opera forse più rilevante di questa prima parte del museo: la celebre “Tabula Cortonensis”. Trattasi di un contratto di compravendita di terreni, risalente al III-II sec. a.C. La tabula, di forma rettangolare, è frammentata in sette pezzi (un ottavo è andato perduto) e raccoglie quello che, per lunghezza, è il terzo testo in lingua e scrittura etrusca ad oggi rinvenuto.
Non mancano, poi, vestigia romane, a conferma della rilevanza mantenuta da Cortona anche nei secoli sotto l’Urbe. Su tutti, degli splendidi mosaici policromi rinvenuti in una vicina villa romana.
Salendo ai piani nobili di Palazzo Pretorio si osserva l’opera etrusca cortonese più celebre: un lampadario in bronzo del IV sec. a.C. di pregevolissima fattura, con decorazioni in tema mitologico (svetta, al centro, la testa di una gorgone, mentre attorno, oltre a delfini e fiori di loto, risaltano sirene e sileni). A fianco di ulteriori opere etrusche e romane, il MAEC ivi custodisce anche reperti dell’Antico Egitto. E ancora lavori artistici di epoche successive (quali il Tempietto Ginori, il “Tondo” di Luca Signorelli, la splendida Musa Polimnia ed opere di un altro figlio artistico di Cortona, Gino Severini), nonché monete, arredi e altri tesori provenienti da collezioni private.
Oltre all’enorme patrimonio custodito presso Palazzo Pretorio, il MAEC fa capo ad un vasto parco archeologico esteso su parte del comune di Cortona e composto per lo più da siti funerari etruschi. Tra essi i “meloni” (tombe a tumulo) presso le vicine località del Sodo e di Camucia, nonché l’Ipogeo di Cortona, la Tanella Angori e la Tanella di Pitagora. Quest’ultima ricevette tale nome per errore, allorché Cortona, uno dei cui antichi nomi era “Croton”, fu scambiata per la città ove il celebre filosofo operò: Crotone.
Molti di questi luoghi giacciono da secoli su declivi terrazzati con muretti a secco e ricoperti da oliveti, che caratterizzano buona parte del colle cortonese. E che generano un’incantevole atmosfera, in una sensazione di continuità tra la gloriosa civiltà etrusca e il mondo contemporaneo.

Viaggio nei luoghi cortonesi della fede
La fede cattolica ha accompagnato la storia d’Italia sin dall’epoca paleocristiana e un borgo antico come Cortona non poteva fare eccezione. Come detto, nel Duecento essa prima ricevette la visita di San Francesco d’Assisi; poi, fu il luogo in cui Frate Elia, uno dei suoi più stretti seguaci, trascorse gli ultimi anni della propria vita e nel quale, dopo la morte, venne sepolto.
Cortona è, però, celebre soprattutto per Santa Margherita. Nata nel 1247 presso il vicino centro umbro di Laviano, a diciassette anni allacciò una storia d’amore con il nobile Arsenio del Pecora, originario di Montepulciano e a cui dette anche un figlio. Osteggiata per via di tale relazione sia dalla propria famiglia che da quella di Arsenio, visse per alcuni anni con quest’ultimo presso una sua residenza di caccia nelle campagne tra Toscana e Umbria. Nel 1273, Arsenio cadde vittima di un’imboscata da parte di sicari di una famiglia rivale. Si narra che Margherita fu condotta al corpo dell’amato dal fedele cagnolino di Arsenio (tutt’oggi, nell’iconografia cristiana, la Santa è spesso raffigurata con il piccolo cane). Rimasta sola, affidò la cura del figlio ai frati minori di Arezzo e si ritirò a vita spirituale presso i monaci francescani di Cortona. Divenuta terziaria francescana, avviò un’intensa opera caritatevole, culminata con la creazione della congregazione delle Poverelle e di un ospedale destinato all’assistenza di miseri e infermi. A ciò si aggiunsero la sua intensa opera di pace verso il territorio chianino (anch’esso, come gran parte d’Italia, dilaniato dalle lotte tra guelfi e ghibellini) e le sue visioni mistiche. Margherita spirò nel 1297, venendo beatificata nel Seicento e canonizzata, da papa Benedetto XIII, nel 1728.

A lei Cortona ha eretto uno dei primissimi edifici di culto dell’Italia centrale per bellezza, la Basilica di Santa Margherita. Posto presso la sommità del colle cortonese, a poche decine di metri sotto la Fortezza del Girifalco, il santuario è raggiungibile attraverso un suggestivo sentiero in pietra (o, più comodamente, in automobile). Il primo nucleo della chiesa fu eretto già nel 1304. Successivi interventi, frutto della devozione per Margherita, l’hanno reso un luogo splendido, dai vivacissimi colori (magica l’atmosfera creata dal soffitto azzurro con stelle d’oro, in contrasto con le colonne bianche e rosse) e adornata di affreschi, lampadari e un imponente organo a canne. Dietro l’altare, all’interno di un’urna, è collocato il corpo della Santa, visibile attraverso la parete in vetro.
Lo stesso centro storico di Cortona e le sue immediate vicinanze abbondano di chiese, tanto che, per esigenze di spazio, qui se ne citeranno solo alcune. La principale è senza dubbio la Concattedrale di Santa Maria Assunta, che si erge su Piazza del Duomo. Costruita sulla base di un preesistente tempio pagano, possiede un interno suddiviso in tre navate e in stile rinascimentale, con opere tra gli altri, di Pietro da Cortona, di Raffaello Vanni, di Andrea Commodi e del Papacello.

Proprio di fronte alla Cattedrale sorge il Museo Diocesano del Capitolo di Cortona, scrigno di mirabili opere pittoriche di matrice religiosa. In una delle più belle pinacoteche toscane, trovano spazio di capolavori, tra gli altri, di Pietro Lorenzetti, di Bartolomeo della Gatta, dei cortonesi Luca Signorelli e il Sassetta, nonché di Giovanni da Fiesole, meglio noto come il “Beato Angelico”. A quest’ultimo si devono due dei fiori all’occhiello del museo: l’Annunciazione e il Trittico di Cortona.
Splendida è anche l’antica Chiesa di San Francesco (XIII sec.), voluta da Frate Elia. Oltre al corpo di quest’ultimo, custodisce preziose reliquie, tra cui un saio appartenuto al santo assisano, il cuscino ove egli poggiò la testa in punto di morte nonché un frammento della Croce di Gesù.

Altro rilevante edificio di culto è poi la Chiesa di San Filippo Neri, edificata tra il XVII e il XVIII secolo, in stile barocco. La sua azzurra cupola svetta sulla città ed è ben visibile anche dalle sottostanti campagne. E probabilmente anch’essa, nel 1871, contribuì a dare alla scrittrice inglese Frances Minto Elliot una singolare quanto suggestiva visione di Cortona, che riportò nel suo “Diary of an idle woman in Italy“:
“La più antica delle dodici città etrusche da lontano sembra moresca, grazie alle cupole, le torri e i campanili che, scuri, si stagliano contro il cielo luminoso”
Un’immagine, questa, a cui probabilmente contribuirono altre due chiese che paiono quasi gemelle e speculari, adagiate una sul fianco settentrionale e l’altra su quello meridionale del colle cortonese: si tratta, rispettivamente, della Chiesa di Santa Maria Nuova (XVI sec.) e della Chiesa di Santa Maria delle Grazie al Calcinaio (XV sec.). I due edifici si accomunano per il patrimonio artistico che custodiscono e, pure esse, per le loro imponenti cupole. Ma la struttura, a prima vista identica, si differenzia per il fatto che Santa Maria Nuova è a croce greca (formata da quattro bracci di uguale misura), mentre la Chiesa del Calcinaio è a croce latina (la classica forma del crocifisso cristiano).

Se poi, come detto, Cortona lega il proprio nome a San Francesco, vi è un altro luogo assolutamente imperdibile, posto poco fuori del borgo. È l’antichissimo Convento delle Celle, fondato nel 1211 proprio dal Poverello di Assisi. Lungo un torrente dagli scoscesi e rocciosi argini, varcato da due ponti in pietra (di cui uno, splendido, ricoperto d’edera), sorgono una chiesetta e un insieme di costruzioni che ospitano le abitazioni dei frati e altri luoghi comuni. Lo splendido panorama, i giardini pensili e la pace dell’eremo contribuiscono a creare un’intensa quanto incontaminata sensazione di spiritualità e di unione con l’ameno ambiente.

Viaggio nel territorio comunale
Cortona è capoluogo di uno dei più vasti comuni d’Italia, il quarto della Toscana e il ventinovesimo dell’intero Paese. Logico come un territorio talmente vasto brulichi di luoghi interessanti.
Avendo poc’anzi menzionato alcuni dei luoghi della fede cattolica del borgo, non si può non partire da un altro edificio di enorme interesse. È l’Abbazia di Farneta, che da oltre mille anni si erge nell’omonima località nella parte meridionale del comune.
A lungo sede di un monastero benedettino (soppresso nel 1799), l’abbazia fu probabilmente edificata già in età longobarda, pur venendo per la prima volta citata in documenti ufficiali “solo” nel 1014. L’edificio, in stile romanico, possiede un’unica navata e ben cinque absidi. Entrarvi significa tornare in pieno Medioevo, oltre a calarsi in un mistico luogo di fede. Imperdibile è la cripta sottostante al presbiterio, riportata alla luce nel 1940: si narra che, al momento della riapertura, fosse colma di scheletri e, soprattutto, di serpenti vivi… A fianco dell’abbazia, infine, è assai interessante il piccolo museo etrusco, romano e paleontologico, frutto del grande lavoro dello storico abate don Sante Felici (che chi scrive ha avuto il privilegio di conoscere personalmente).

Un altro luogo che proietta all’età dei castelli e dei cavalieri si trova dalla parte opposta del territorio comunale, oltre le cime retrostanti a Cortona, in prossimità del confine con l’Umbria. Occorre superare un primo crinale di monti per imbattersi nella graziosa Val di Pierle e scorgere, alla sommità del piccolo borgo in pietra di Mercatale, la sua imponente Rocca. Edificata tra l’XI e il XIII secolo, fu a lungo un baluardo cortonese contro la rivale Perugia. Teatro di un truce eccidio di circa settanta ribelli voluto nel 1387 dal signore di Cortona Uguccio Casali, nel 1576 fu fatto sventrare dal granduca di Toscana Francesco I de’ Medici, che la riteneva covo di malfattori e nemici politici. Lo scempio fu decisivo, tanto che l’interno non fu mai ricostruito.

Visitando Farneta e Mercatale si colgono le due anime del territorio comunale cortonese: immersa nei verdissimi boschi montani la seconda, posta fra le placide campagne chianine la prima.
La Valdichiana, floridissima sin dall’antichità, s’impaludò per la sciagurata decisione, adottata dal Senato romano nel 65 d.C., di chiudere lo sbocco del suo fiume, il Clanis, ritenuto fra i principali responsabili delle piene del Tevere. Tornò fertile, forse ancor più di prima, grazie all’intervento dei Lorena, seguiti ai Medici alla guida del Granducato di Toscana. Essi commissionarono al grande ingegnere idraulico Vittorio Fossombroni la sua bonifica. Il granduca Pietro Leopoldo di Toscana, nella seconda metà del Settecento, volle far ripartire l’economia chianina, promuovendo la nascita di poderi e la realizzazione di edifici colonici ove risiedesse la manodopera agricola. Di tali edifici tutt’oggi è ricca anche la campagna cortonese: si tratta delle celebri case leopoldine, contraddistinte da una particolare struttura a blocco unico sormontata da una colombaia.

Alcune sono state ristrutturate e trasformate in pregevoli dimore o in agriturismi, altre giacciono in rovina, perché abbandonate all’incuria o per le ferite lasciate dal passaggio del fronte nella Seconda Guerra Mondiale (come a Falzano, teatro di una strage nazista compiuta il 27 giugno 1944, che costò la vita a sedici persone). Tutte quante, però, sono circondate da una campagna rigogliosa, che in primavera si colora con gli alberi in fiore e d’estate con le messi dorate. Mentre d’autunno s’improfuma con l’odore del mosto, dopo la vendemmia nelle vigne che qui producono il pregiato vino DOC “Cortona”.

Alla scoperta delle tradizioni cortonesi.
Proprio la rigogliosa campagna cortonese, come tutto il resto della Valdichiana, è stata per secoli luogo di sviluppo di una delle più genuine civiltà rurali d’Italia. Certo, non vi sono più i mezzadri a vivere nelle leopoldine, sotto le direttive di un fattore operante per conto di un padrone latifondista. Ma le genti della campagna preservano comunque le tradizioni e la cultura dei loro padri.
Vi è, a tal proposito, una piccola frazione nella Valdichiana cortonese, Fratticciola, che dal 1976 ospita l’annuale Mostra del Carro Agricolo. Durante l’evento, che si tiene ai primi di autunno, il centro abitato torna per qualche giorno ai decenni addietro. Di nuovo si ode lo scoppiettio dei vecchi trattori Landini, mentre la gente del borgo riveste gli abiti dei tempi che furono, espone gli oggetti della civiltà contadina, produce il vino con la pigiatura coi piedi, cucina la tradizionale “ciaccia” (la focaccia toscana) con l’uva passa e fa percorrere le strade ai variopinti carri agricoli trainati dai mastodontici buoi chianini. Attorno, tra le case, si allestiscono recinti ove sono condotti i tradizionali animali da cortile, si pranza sull’aia (il piazzale contiguo alla casa colonica) e si realizza il tradizionale pagliaio. Che viene poi arso al termine della festa.
Altra manifestazione, particolarmente qui sentita, è la celebre Giostra dell’Archidado di Cortona. Fu creata nel 1994, in collegamento con l’antica tradizione balestriera locale.
La Giostra si tiene nel secondo fine settimana di giugno al culmine di una “Settimana medievale” con mercatini e giochi di bandiere, finalizzata a ricreare i festeggiamenti che, nel 1397, si svolsero in occasione del matrimonio di Francesco Casali, signore di Cortona, con la nobildonna senese Antonia Salimbeni.
Alla disfida partecipano i Quintieri (rioni) di Sant’Andrea (giallo-verde), San Marco e Poggio (rosso-verde), Peccioverardi (bianco-giallo), San Vincenzo (giallo-blu) e Santa Maria (rosso-blu). Durante la gara, i due balestrieri di ciascun rione devono colpire a turno, con la propria verretta (la freccia usata per la balestra), un bersaglio quadrato, diviso in settori, ad ognuno dei quali corrisponde un punteggio che va da 1 a 4. Attorno al bersaglio vi sono dei settori colorati, raffiguranti immagini quali il “Gobbo”, la “Maliarda”, la tartaruga, la civetta, il pozzo e la prigione: guai a colpirli, o si viene sanzionati con la decurtazione di uno o più punti o l’esclusione dal successivo turno di tiro. Salvi spareggi in caso di parità, il Quintiere che al termine del quarto turno di tiro avrà ottenuto il punteggio più alto si aggiudica l’ambita “Verretta d’Oro”.
Celebrando una manifestazione che, per quanto giovane, già coinvolge i cuori e gli animi dei cortonesi, riportandoli per qualche giorno alla gloriosa epoca dei Casali.
E Cortona è soprattutto questo: una città esistente da tempo immemore, che nei secoli ha saputo adattarsi al naturale corso della storia senza perdere la propria identità. Anzi, valorizzando le sue bellezze, la sua cultura, la sua magia. E proiettandosi più bella che mai verso il futuro.
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