
Copenhagen: breve storia di un viaggio
Questa è una storia di buoni propositi, nati a gennaio e naufragati a marzo. Già nella sua prima decade. Come tutti i buoni propositi di inizio anno, si dirà. Più precisamente come tanti buoni propositi dell’inizio dell’anno 2020, il primo anno da quando ho memoria a fornire una giustificazione esagerata al naufragio di molte buone intenzioni seminate per il mondo: una pandemia, addirittura, e un conseguente lockdown.
È la storia di come l’idea di fare del 2020 l’anno dei piccoli viaggi sia diventata ben presto un fitto programma di viaggi mentali, un po’ casalinghi e un po’ digitali, ma comunque parecchio immobili, leggeri ed ecologici.
Tutti i buoni propositi, però, hanno un pregio che non si può negare: ingranano bene all’inizio dell’anno, proprio qualche giorno dopo che li abbiamo immaginati ed ecco perché questa triste storia di naufragi è anche la storia del mio primo e, per ora unico, viaggio di questo strano anno dalle cifre tonde.
Non come gli anni di Andrea, che a fine gennaio ha spento quarantadue lunghe candeline a Copenhagen, quando il virus era ancora un problema cinese, sebbene qualche volto coperto dietro fantasiose mascherine iniziasse a circolare anche in Europa. Andrea ed io eravamo e siamo tuttora contagiati solo dal virus del viaggio, così abbiamo affrontato la capitale danese a volto scoperto. Giusto il volto, però, perché come in ogni narrazione del Nord Europa che si rispetti nella valigia per Copenaghen non possono mancare sciarpe, guanti e un cappellino.
Un compleanno lungo tre giorni che, con un pizzico di fortuna, bastano per vedere il bello e il cattivo tempo. Ormai l’avrete capito: il meteo è un aspetto importante di questo viaggio. Siamo partiti con la consapevolezza che avremmo battuto i denti, che ci saremmo rifugiati in decine di negozi e che avremmo fatto incetta di merende per trovare un po’ di calore, invece siamo finiti per fare lunghe passeggiate all’aperto: la pioggia leggera ma costante dei primi grigi giorni, il vento gelido di una domenica luminosa e soleggiata non sono riusciti a fermarci per un solo istante.
Aggregandoci ai numerosi free walking tour che offre la città, camminando abbiamo visitato i principali luoghi di interesse come i castelli (Rosenborg, Christiansborg, Amaliengbog – in tutti e tre è consigliata una visita all’interno) e la famosa passeggiata dell’antico porto (Nyhavn), il meno famoso ma particolarissimo quartiere di Christiania, dove l’odore di marijuana inizia a farti dubitare che riuscirai a salire sull’aereo di ritorno. E ovviamente a piedi siamo arrivati al cospetto della sirenetta, la statua simbolo della città, di certo non per dimensioni. In quasi tutti i racconti su Copenaghen sentirete la delusione alla vista di questa creatura in bronzo, ma non nel mio. Complice il cielo azzurro sfumato da grandi nuvole bianche e pochi raggi di tiepido sole, la sirenetta adagiata sulla sua roccia in riva al mare ha fatto colpo.

Ma Copenaghen è anche città di musei, che non sono lì solo per offrire calore, ma anche una buona dose di bellezza e di scoperte. Trascorrendo tre giorni in città, vale la pena visitarne almeno un po’, per questo è consigliabile munirsi di Copenaghen card, una tessera valida per i viaggi in metro, treno, bus, per le visite ai musei e ai castelli, per una mini crociera in barca e per l’ingresso al Tivoli, un parco divertimenti dove anche quarantadue anni diventano due o dodici in men che non si dica.

La cucina di Copenhagen, infine, vale il viaggio, anche dal punto di vista dei costi. A dispetto del suo nome, il piatto più semplice è lo Smørrebrød, difficile se non impossibile da pronunciare, facile da trovare come un piatto di pasta in Italia. Che il paragone non tragga in inganno, però! Il piatto tipico danese è, infatti, più l’equivalente di una merenda: una sottile fetta di pane su cui vengono adagiati a regola d’arte filetti di pesce oppure verdure, carne, a ciascuno secondo il proprio gusto. Anche le persone più last minute, dovranno prenotare per tempo i ristoranti a Copenhagen, dove mangiare è un’esperienza non solo per il palato. Le materie prime senza dubbio regalano momenti di puro piacere, ma sono soprattutto gli accostamenti di ingredienti a sorprendere e conquistare: un sorbetto con micro foglie di insalata, per esempio, è una chiamata alle armi per ogni nonna d’Italia, ma viaggiare vuol dire soprattutto abbassare le difese e aprirsi alle scoperte.
