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Alla scoperta di Piegaro, l’antico borgo umbro del vetro

Un piccolo paese si adagia su un colle contornato da rigogliosi boschi. Fra i suoi graziosi vicoli, svetta una struttura, oggi museo, che custodisce l’essenza più pura di questo borgo. Alla quale gran parte della sua popolazione è legata.

Siamo a Piegaro, centro della Valle del Nestore di circa 3.700 abitanti, che si erge su uno dei colli dell’Umbria occidentale, in Provincia di Perugia, poco a sud dal Lago Trasimeno.

Facile giungervi. Chi usa l’A1 può servirsi del casello di Chiusi-Chianciano Terme e superare la stessa Chiusi e poi Città della Pieve, da cui Piegaro dista una dozzina di chilometri. Chi, invece, proviene dal capoluogo regionale può utilizzare la SR220 (qui nota come la “Pievaiola”).

Difficile, al contrario, non restare colpiti dall’eredità culturale e artistica di uno dei borghi italiani che meglio hanno legato la propria storia ad una specifica arte. Nel caso di Piegaro è la lavorazione del vetro, la quale, ancora ai nostri giorni, malgrado la concorrenza estera e la crisi economica, qui mantiene pressoché inalterata la propria importanza. Tanto che i piegaresi, trasferita la produzione vetraia fuori del centro abitato, hanno trasformato la loro storica vetreria in un museo. Che è oggi fra le mete imprescindibili per chi vuol conoscere come si è evoluta la lavorazione di uno dei materiali più diffusi e importanti nella storia umana.

Campioni dell'arte vetraia piegarese
Campioni dell’arte vetraia piegarese

Una storia legata al vetro

Piegaro sorge in un’area di antichissima presenza umana.

Probabilmente un preesistente insediamento prima umbro e poi etrusco finì, agli inizi del III sec. a.C., sotto la dominazione di Roma, stante la rilevanza strategica di un simile luogo, crocevia tra l’Urbe e Perugia (non a caso le due antiche porte cittadine – distrutte durante la seconda guerra mondiale – avrebbero preso il nome di “Romana” e “Perugina”).

Romana sembra essere l’origine dello stesso toponimo (Plagarium), ma ignoto è il vocabolo latino da cui deriverebbe: forse plaga (paese o anche rete da caccia, attività qui senz’altro diffusa in passato, data la nutrita presenza di fauna) o il sinistro plagiarius (rapitore); oppure dal nome di Pico Graio, leggendario fondatore del borgo.

La relativa tranquillità sotto il dominio della Città Eterna (si narra che il primo imperatore Augusto e il poeta Virgilio, di ritorno da Perugia, pernottarono proprio a Piegaro) fu spezzata dalle invasioni barbariche. Prima i Vandali (455 d.C.), poi i Longobardi (VI sec.) inflissero due durissimi colpi al borgo.

Proprio sotto uno dei feudi longobardi, il ducato di Chiusi, nel cui territorio Piegaro fu ricompresa, la cittadina tornò a rivivere. L’antica cinta romana venne totalmente ricostruita e fu innalzato il torrione di avvistamento tutt’oggi esistente. Tutt’intorno, il suo territorio sbocciava in un nuovo splendore: da una parte, il Castello di Cibottola e l’Abbazia dei Settefrati (presso la frazione di Pietrafitta), dall’altra i monasteri di San Donato (a Ierna) e di San Bartolomeo (quest’ultimo, presso la stessa Cibottola, avrebbe ospitato San Francesco nell’ultima fase della propria vita).

Nel XIII secolo, la zona assistette all’ascesa dei Conti di Marsciano (già noti come i Bulgarelli da Parrano). Piegaro cadde sotto la loro dominazione per un breve periodo, fino a ribellarsi e a proclamarsi libero comune. Si legò, alfine, a Perugia e allo Stato Pontificio e, nonostante il coinvolgimento in una serie di conflitti, il borgo accrebbe sensibilmente il proprio benessere.

Ciò fu merito anche, e soprattutto, dell’avvio dell’arte vetraia, che qui ricevette impulso almeno sin dal Duecento. Si narra che furono dei veneziani (ivi giunti dopo che la Repubblica della Serenissima aveva vietato la produzione del vetro nella città lagunare, imponendone il trasferimento delle relative fabbriche a Murano) ad avviare la prima vetreria a Piegaro. Nel giro di pochi anni, questa si sviluppò al punto tale che, nella prima metà del XIV secolo, durante l’edificazione del celebre Duomo di Orvieto, furono le vetrerie di Piegaro a fornire all’architetto Lorenzo Maitani il materiale per i mosaici e le decorazioni.

E fu solo l’inizio. Da Piegaro sarebbe partito il vetro anche per la realizzazione di altri celebri edifici di culto italiani (tra cui le cattedrali di Perugia e di Milano), mentre i suoi mastri vetrai si specializzavano nella realizzazione di altri oggetti d’arte, nonché di beni d’uso comune (finestre, damigiane, bicchieri, fiaschi, ecc…).

Museo del vetro di Piegaro
Antichi macchinari presso il Museo del vetro di Piegaro

Talora, alcune maestranze furono chiamate a lavorare lontano, tanta era la fama di cui i vetrai piegaresi godevano. Di fama godeva anche la ricchezza prodotta dalla cittadina, tanto che nel 1443 Piegaro fu espugnata e saccheggiata dai mercenari del bellicoso condottiero bergamasco Antonio Attendolo detto “Ciarpellone”.

Ma, nel giro di circa un trentennio, il borgo si riprese. I mastri vetrai, fino ad allora operanti in botteghe artigiane indipendenti l’una dall’altra, costituirono una loro corporazione, nota come “Confraternita di Signoria dei Vetrai” (1486).

Nel nuovo regime di reciproca cooperazione, Piegaro divenne ancor più florida. E magari – a differenza di oggi – non così graziosa da vedere, se è vero che le cronache dei due secoli successivi narrano di una cittadina sporca e alquanto inquinata (senza contare il massiccio disboscamento dei territori limitrofi per ricavare la legna allo scopo di alimentare la fornace).

Fu l’Ottocento a dare la definitiva consacrazione alle vetrerie piegaresi. Cunegonda, rampolla della storica famiglia nobile locale, i Cocchi, sposò nel 1815 il marchese Geremia Misciattelli di Montegiove, che assunse la guida delle vetrerie, riorganizzandole e avviando persino la produzione del cristallo. All’epoca, due erano i principali luoghi di produzione del vetro, entrambi entro le mura.

La produttività incrementò grazie alla progressiva industrializzazione, ma tra la fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento una serie di chiusure, se non di fallimenti, delle società alla guida delle vetrerie portò ad una parziale battuta d’arresto l’arte vetraia locale.

Piegaro, come il resto del Belpaese per buona parte delle attività produttive, dovette attendere gli anni ’60 e il miracolo economico italiano per far ripartire appieno l’industria vetraia. Nel 1960 fu fondata la Vetreria Cooperativa Piegarese (VCP). E fu la svolta. Nel 1968, la VCP fu persino costretta a trasferire l’attività in periferia, presso un enorme impianto industriale tutt’oggi operativo, che la rende una delle imprese leader nel mercato nazionale e internazionale del vetro.

E le strutture ospitanti le due grandi vecchie fabbriche? Una, situata presso il Palazzo comunale, è stata trasformata in abitazione privata. L’altra, invece, ha mantenuto il suo aspetto. Per la sua importanza nella storia del borgo, i suoi abitanti si sono ben guardati dal demolirla. La grande ciminiera tutt’oggi svetta nel centro storico, creando un contrasto solo apparente. Ciò che a un’occhiata (molto) superficiale sembra “stonare” in un antico borgo, in realtà s’inserisce alla perfezione in un contesto sviluppatosi grazie all’arte vetraia.

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Editto di privativa del 1816 emesso dal cardinale Luigi Ercolani, tesoriere generale pontificio, in favore delle vetrerie piegaresi

In giro per Piegaro

Piegaro è capoluogo di un vasto quanto splendido territorio comunale, colmo di luoghi di grande interesse. In questo articolo, tuttavia, ci si occuperà dapprima del borgo e quindi della vetreria storica.

Ma, prima di giungere a quest’ultima, merita una visita il borgo in sé. Per quanto molti siano qui gli elementi richiamanti la cultura vetraia. A partire dal monumento, opera dello scultore Simone Filosi, che s’incontra al centro di Piazza Verneuil-en-Halatte. Su una base circolare, tre figure umane ricordano due dei ruoli cardine della tradizionale economia locale (e ai quali è dedicata l’opera): il vetraio (rappresentato nell’atto della soffiatura) e le rivestitrici (compito di solito attribuito alle donne, ai vecchi e ai bambini, consistente nella realizzazione del rivestimento di fiaschi, bottiglie e damigiane).

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Il monumento dedicato ai vetrai e alle rivestitrici a Piegaro

Subito dopo l’ingresso nel centro storico, in via Aspromonte, sorge la Chiesa di San Silvestro. L’aspetto neoclassico non deve trarre in inganno, avendo essa avuto origine forse prima dell’anno Mille. Antica sede monastica camaldolese, fu profondamente ristrutturata nel XIX secolo. L’interno, ricco di pregevoli opere d’arte, ospita fra gli altri un crocefisso ligneo che, secondo la tradizione cattolica, sarebbe stato oggetto di un miracolo: l’11 maggio 1738, al termine della missione a Piegaro di Paolo Francesco Danei (il futuro San Paolo della Croce), sarebbe grondato di un sudore di color ceruleo.

Piegaro Chiesa di San Silvestro
La Chiesa di San Silvestro

Altro edificio di culto assai rilevante nella storia del borgo è la Chiesa della Crocetta, poco all’esterno dell’ex Porta Perugina. Fondata nel XV secolo, divenne a breve il luogo ove i vetrai piegaresi si recavano per ringraziare la Madonna per averli salvati dai pericoli delle fornaci. Sul finire del Quattrocento, divenne sede della citata Confraternita di Signoria dei Vetrai, di cui, tutt’oggi, presso l’organo, è presente lo stemma: un fiasco e un calice che sovrastano un fuoco. Nel 1576, la Confraternita prese il nome di “Gonfalone della Crocetta”, il cui emblema (una piccola croce rossa stondata) si trova proprio sulla facciata della Chiesa. L’edificio ospita, inoltre, la statua dell’Ecce Homo, che i piegaresi portano in processione ogni anno in occasione del Giovedì santo.

Architetture civili d’interesse sono invece Palazzo Misciattelli-Pallavicini, già residenza degli storici proprietari delle vetrerie e attuale hotel di lusso (i cui gestori, comunque, consentono, previa prenotazione, di visitare i saloni affrescati e la cappella privata); nonché l’edificio comunale, costruito nel secondo dopoguerra in chiaro stile razionalista, a sostituire il precedente, distrutto durante il conflitto bellico.

scorcio vicoli borgo piegaro in umbria
La quiete dei vicoli piegaresi

Il Museo del Vetro di Piegaro

Già si è parlato della plurisecolare tradizione vetraia di Piegaro. Ora è il momento di scoprire il luogo in cui l’essenza di tale tradizione viene custodita.

Spostiamoci allora in via Garibaldi. Qui si nota l’ex fabbrica, con l’alta ciminiera che, fino al 1968 (anno di trasferimento delle vetrerie in periferia), ne esalava i fumi. Un tempo qui entravano operai che conoscevano ogni segreto dell’arte vetraia. Oggi vi accedono quanti vogliono conoscere come viene realizzato uno dei materiali più comuni della vita quotidiana.

L’ingresso al museo (per informazioni e biglietti) avviene da pianterreno, a fianco del luogo in cui si verificava la prima fase della produzione: la “mescola”. Qui i materiali (essenzialmente: sabbia silicea, il componente essenziale del vetro; soda o potassa, per abbassare la temperatura di fusione; e calce, per far sì che il manufatto mantenesse la forma desiderata) venivano mescolati insieme a ossidi metallici per colorarlo (o a biossido di manganese per decolorarlo) e a vetro riciclato, per poi essere fusi nel forno.

museo del vetro piegaro perugia
Il forno fusorio

Da quest’ultimo, tutt’oggi visibile all’interno della relativa sala, gli operai attingevano i “boli” (cioè, i grumi di vetro fuso) inserendo le apposite canne da soffio nelle “cuffie”, piccole nicchie con annesse feritoie. L’ampiezza della sala e l’altezza del suo soffitto si devono all’enorme calore qui costantemente presente (all’interno del forno, le temperature oscillavano tra i 1250 e i 1400°C).

Il forno non fu svuotato al momento della chiusura della fabbrica. Per consentire di ammirarne l’interno, è stato privato di quasi tutta la sua originaria copertura, con il risultato che si assiste ad un insolito spettacolo: pare di trovarsi davanti ad una “piscina” con l’acqua vetrificata.

Prima della piena industrializzazione del processo produttivo, il vetro, una volta estratto dal forno, veniva modellato con appositi utensili o stampi. Alcuni di essi restano visibili nella sala del forno.

Attrezzi di lavorazione del vetro
Attrezzi di lavorazione del vetro, utilizzati prima dell’industrializzazione dei meccanismi produttivi

I prodotti venivano lavorati allorché erano ancora sostanzialmente semifusi. Il raffreddamento (che doveva avvenire assai lentamente, onde evitare rotture cagionate da improvvisi sbalzi di temperatura) aveva luogo in un apposito forno, oggi smantellato, adiacente alla sala del forno e detto “tunnel della tempera” (così chiamato perché, al suo interno, il manufatto in vetro “si temperava”).

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Particolare del plastico che ricostruisce la storica vetreria piegarese

All’interno della sala del forno, inoltre, risalta un plastico della vecchia fabbrica, che ne rende meglio intelligibile il funzionamento. Al suo fianco, si trova la “saletta delle giornate”: sulla parete, in una bacheca, erano segnate le produzioni giornaliere delle singole squadre di operai mentre, su un banco, sono tutt’oggi visibili alcuni libretti di paga delle maestranze.

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I libretti di paga

I prodotti lavorati venivano stipati, in attesa di essere consegnati agli acquirenti o immessi sul mercato, in appositi magazzini al piano seminterrato.

A quest’ultimo piano, si notano ancora i vecchi cunicoli di riscaldamento, attraverso i quali correva il calore che doveva alimentare il forno. I cunicoli si raccordavano sotto la ciminiera, affinché i fumi prodotti dalla combustione potessero essere esalati all’esterno.

Sempre a questo piano risalta una colata di vetro, collocata in quella che era l’apposita camera di contenimento. Va precisato, infatti, che ogni 2-3 anni, a scopo di pulizia e manutenzione, il forno fusorio veniva temporaneamente spento e svuotato. Il vetro, ancora fuso, veniva fatto scendere nella camera di contenimento e qui, una volta solidificatosi, veniva rotto e riciclato. Nel 1968, la camera non fu svuotata, con il risultato che oggi si ammira una splendida quanto inconsueta “cascata” di color smeraldo.

colata di vetro
La colata di vetro rimasta dopo la chiusura delle vecchie vetrerie nel 1968

Molti campioni dei prodotti tradizionali delle vetrerie piegaresi sono custoditi presso il museo in apposite teche di vetro sia al piano terra (presso la “sala delle volte”) che a quello seminterrato (negli ex-magazzini).

Risaltano, anzitutto, manufatti di uso quotidiano, quali bicchieri, damigiane, fiaschi, pulcianelle e galleggianti. A proposito, i fiaschi e i galleggianti venivano tradizionalmente rivestiti (utilizzando la “scarcia”, cioè l’erba di palude essiccata al sole) da donne, anziani e bambini, all’esterno della vetreria, a dimostrazione di come la produzione vetraia creasse lavoro e costituisse fonte di reddito pressoché per l’intera popolazione piegarese.

Non mancano, al tempo stesso, articoli insoliti e persino pezzi pregiati (ad esempio, un gioco per bambini, piatti e un antico servizio della famiglia Misciattelli), che confermano l’elevato grado di sviluppo della locale industria vetraia.

A quella che, ormai da secoli, è per il borgo una vera e propria cultura, Piegaro consente di attingere a tutti, organizzando laboratori, seminari e corsi di artigianato vetraio sia per adulti che per ragazzi negli ex uffici della vetreria (presso il primo piano del museo).

Non solo. Dal 2017, Piegaro organizza il Festival del Vetro, rassegna dedicata all’arte, al design e alla cultura di un materiale che ha segnato la storia italiana e mondiale, con la partecipazione anche di rappresentanti delle altre realtà vetraie del Belpaese (Murano, Altare, Empoli, Gambassi Terme e Colle Val d’Elsa). Dato il successo della prima edizione, il borgo umbro ha deciso di proseguire nell’organizzazione dell’evento, nel 2018 in programma dal 24 al 27 maggio.

Capolavori artistici realizzati dai vetrai di Piegaro
Capolavori artistici realizzati dai vetrai di Piegaro

Un luogo da cui partire per scoprire Piegaro: l’Azienda Agricola Antheia

A chi vuol conoscere uno degli angoli più affascinanti dell’Umbria, quale la sua parte occidentale, fra la Valdichiana e la Valle del Nestore, non si può non consigliare l’Azienda Agricola Antheia, sita nel comune di Monteleone d’Orvieto (da cui dista meno di 3 km) e a due passi da Piegaro (appena 4 km di distanza).

La splendida struttura di Antheia, immersa nel verde della campagna umbra

Antheia è ben più che un’ottima azienda agricola e un eccellente agriturismo. Soggiornare e pernottare in questo splendido casale (denominato “Casa Antheia“) finemente ristrutturato  significa immergersi nella tipica ospitalità italiana. Colpisce una frase che si legge presso la struttura: “In questa casa si entra come ospiti e si va via come Amici”. Essa incarna alla perfezione la mentalità di un luogo che costituisce più che altro una sorta di “famiglia”, ove si viene ricevuti in un ambiente caldo ed estremamente accogliente, curato nei minimi dettagli dai suoi due gestori, Cesare e Maria Josefina, trasferitisi qui da Torino.

Accresce la familiarità di questo luogo la presenza di due splendidi quanto affettuosi cagnolini, Joy e Belle, alla continua ricerca di coccole da parte degli ospiti (o, meglio, degli amici).

Oltre all’accoglienza dei propri ospiti, Cesare e Maria Josefina si cimentano nella coltivazione dei prodotti della propria terra, poi trasformati in autentici capolavori culinari dall’estrema genuinità. Prodotti chiave dell’azienda agricola sono l’olio e lo zafferano.

Prodotti di Antheia

A livello di olio, non si tralasci che qui ci troviamo in uno dei primissimi luoghi d’Italia per tradizione olearia. E, quando alle proprietà del suolo si aggiunge – come in questo caso – la perizia e l’impegno di chi lo coltiva, il risultato è assicurato. Dal canto proprio, lo zafferano è la storica spezia di queste terre, coltivata da secoli presso la vicina Città della Pieve e nei borghi circostanti. Ad Antheia (che, peraltro, è fra i produttori aderenti al “Consorzio Il Croco di Pietro Perugino – Zafferano di Città della Pieve“) non ci si limita ad utilizzarlo come condimento per i primi piatti, ma i suoi gestori ne propongono (con successo) un impiego, tra gli altri, come ingrediente base per uno squisito sciroppo per bevande, granite, yogurt, dolci e gelati.

sciroppo di zafferano piegaro umbria
Lo sciroppo di zafferano, tra le specialità di Antheia

Dunque, Antheia rappresenta il luogo ideale per scoprire “l’Umbria che non ti aspetti” nella sua essenza più pura, nella sua tradizione, nella sua ospitalità, nella sua prelibata cucina e nel suo ammaliante panorama, costellato da un’ubertosa campagna e da splendidi borghi.

Si ringraziano per l’ospitalità in occasione del blogtour del 23-25 febbraio 2018 e del discovering tour del 20-22 aprile 2018,
il Comune di Piegaro, il Museo del Vetro di Piegaro e l’Azienda Agricola Antheia

Per saperne di più clicca su

Buon viaggio!

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Dove dormire a Piegaro
Paolo Menchetti

Paolo Menchetti

Nato ad Arezzo nel 1982, una laurea in giurisprudenza e un titolo di avvocato appeso al chiodo. Un grande amore per la fotografia, i viaggi e la scrittura. Tre passioni che ho unito nel lavoro che ho scelto di fare: il fotoreporter. Il mio obiettivo: far vivere le esperienze che ho vissuto in un luogo ai lettori, nella speranza di stimolarne il desiderio di scoprirlo a propria volta.

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